Sei anni dopo il rocambolesco atterraggio di Philae, rimbalzato per tre volte sulla superficie della cometa 67P, il lander dell’Esa continua a far parlare di sé. Dopo una lunga serie di analisi gli scienziati del team hanno finalmente individuato il secondo punto del touchdown, l’ultimo dei tre rimasto ancora ignoto. Grazie ai dati collezionati dal magnetometro di Philae e dallo spettrometro Virtis – finanziato da Asi sotto la responsabilità scientifica di Inaf – si è scoperto che l’interno della cometa è soffice, e con la stessa consistenza della neve fresca. Philae ha trascorso circa due minuti nell’area individuata dal nuovo studio intaccando la superficie di 67P in diversi punti e lasciando una serie di segni che sono valsi a questa regione il soprannome di ‘cima del teschio’.
«Nei pioneristici giorni delle operazioni sulla cometa del lander sulla cometa, mi piaceva pensare a Philae come il figlio che ormai cresciuto ha salutato la mamma Rosetta e se ne è separato per andare a compiere il suo lavoro – afferma Mario Salatti program manager di Philae per Asi – a differenza della recente sonda Osiris Rex che ha raccolto con successo materiale dalla superficie di un asteroide perché venga analizzato a terra, Philae portava con sé un piccolo laboratorio per fare lo stesso lavoro sul posto: sulla superficie della cometa 67P, testimone degli albori del sistema solare proprio come l’asteroide Bennu. Per la sfortunata dinamica del suo atterraggio, la strategia osservativa di Philae è stata stravolta, ma molti sono i risvolti interessanti emersi dalla sua missione, in maniera non intenzionale, imprevista: aver scoperto ora il punto del secondo rimbalzo, quello registrato dal magnetometro a bordo, ma la cui posizione era ignota, ha permesso di stimare meglio la forza di coesione del materiale sulla superficie della cometa e ha indicato la “crosta faccia di teschio” come il punto dove cercare del materiale sottosuperficiale portato alla luce – di fatto, per quanto involontariamente – da Philae e la cui analisi si può andare a ricercare nei dati raccolti successivamente da Rosetta dall’orbita. Non ci sono parole per ribadire quanto straordinaria è stata questa missione!»
Lo studio rivela anche la presenza di grandi quantità di ghiaccio d’acqua che – nella regione scalfita ed esposta da Philae – raggiunge fino al 50% del totale. Nel dettaglio quest’area è molto riflettente e rivela che il ghiaccio, molto poroso, può essere presente in abbondanza anche sulla superficie, senza necessità di scavare in profondità.
«La presenza e la consistenza del ghiaccio di acqua così vicino alla superficie- commenta Eleonora Ammannito, ricercatrice dell’Asi – sarà una indicazione preziosa nella progettazione delle nuove missioni cometarie che inevitabilmente avranno come obiettivo quello di raggiungere il materiale pristino e non alterato contenuto all’interno di questi oggetti ancora misteriosi».