Osiris-Rex ce l’ha fatta. Puntuale come un orologio, mezzanotte e dodici minuti del 21 ottobre in Italia, la sonda della Nasa è discesa sull’asteroide Bennu. Una carezza durata meno di 16 secondi. In questo tempo già brevissimo, il momento cruciale si è giocato nel giro di soli 5 secondi: tanto è servito alla sonda per raccogliere un campione dell’asteroide, obiettivo primario della missione. Ci vorrà circa una settimana per confermare se Osiris-Rex sia effettivamente riuscita a portarsi via quei famosi 60 grammi dalla superficie Bennu – la soglia minima posta dal team della Nasa. Intanto però l’agenzia statunitense ha già annunciato che i dati telemetrici confermano la sosta di 5 secondi necessaria alla raccolta del materiale.
Arrivata nell’orbita di Bennu nel dicembre 2018, dopo due anni e centouno giorni di viaggio, Osiris-Rex ha studiato l’asteroide da tutte le angolature possibili e ne ha fornito una mappa a 360°. Aiutando gli astronomi a scoprire dettagli fondamentali sulla geologia e la composizione di un oggetto celeste che a malapena raggiunge l’altezza di un grattacielo e che si trova attualmente a oltre 320 milioni di chilometri da noi.
Dopo aver studiato Bennu dall’alto così attentamente, finalmente è arrivato per Osiris-Rex il momento di dare uno sguardo più da vicino. Ed ecco com’è andato lo storico incontro tra la sonda e l’asteroide. Tutto ha avuto inizio alle 19:50 italiane, quando Osiris-Rex ha accesso i propulsori per uscire dall’orbita di Bennu. A quel punto è cominciata la discesa, durata più di 4 ore, verso Nightingale, una zona rocciosa di circa 16 metri di diametro nell’emisfero settentrionale di Bennu. Una mappa del rischio ha guidato la navicella durante il suo progressivo avvicinamento. La Nasa ha calcolato che le probabilità che Osiris-Rex atterrasse in un punto potenzialmente pericoloso erano inferiori al 6%, ma in quel caso era comunque pronto un sistema automatico di dietrofront. Fortunatamente non è stato necessario. Tutto è andato come previsto e Osiris-Rex è entrata nella cosiddetta fase Tag (da touch-and-go, letteralmente ‘tocca e vai’).
Nell’ultimo tratto, il più complesso, Osiris-Rex ha costeggiato un enorme masso soprannominato Mount Doom, prima di arrivare a posarsi sulla superficie di Bennu. A quel punto si è attivato il dispositivo di acquisizione TAGSAM installato sulla navicella, che ha soffiato azoto per sollevare e raccogliere materiale dell’asteroide – almeno 60 grammi, dicevamo, ma se possibile anche di più.
Nel caso in cui il campione dovesse rivelarsi insufficiente, la Nasa potrà decidere di effettuare un secondo tentativo a partire da gennaio 2021. L’inizio del lungo viaggio di ritorno è invece fissato per marzo 2021, quando Bennu sarà allineato correttamente con la Terra. Osiris-Rex dovrebbe poi atterrare sul nostro pianeta con il suo prezioso carico il 24 settembre 2023.
«Questa incredibile prima volta per la Nasa dimostra come un fantastico team proveniente da tutto il paese si sia riunito e abbia perseverato attraverso grandi sfide per espandere i confini della conoscenza», commenta l’amministratore della Nasa Jim Bridenstine. «I nostri partner industriali, accademici e internazionali hanno reso possibile tenere tra le mani un pezzo del più antico Sistema solare».
Fondamentale la partecipazione italiana alla missione, con un team dell’Istituto Nazionale di Astrofisica supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana formato John Robert Brucato (Inaf di Firenze), Elisabetta Dotto (Inaf di Roma) e Maurizio Pajola (Inaf di Padova). Come hanno confermato i tre ricercatori a Media Inaf, portare a casa un pezzetto di Bennu offre un potenziale scientifico unico, dato dalla storia passata dell’asteroide e dalla sua composizione primordiale. Bennu è infatti una specie di finestra su come poteva essere il nostro sistema solare miliardi di anni fa, mentre prendeva forma e produceva gli ingredienti che avrebbero un giorno aiutato a seminare la vita sulla Terra.
Ma oltre ad aiutarci a guardare indietro nella storia del nostro pianeta, lo studio di Bennu ci permette anche uno sguardo al futuro. «La possibilità di avere dei campioni di roccia asteroidale nei nostri laboratori terrestri – commenta Ettore Perozzi dell’Ufficio per la Sorveglianza Spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana – è fondamentale non solo per le implicazioni scientifiche ma anche per valutare l’efficacia delle tecniche di protezione del pianeta dall’eventualità di impatti cosmici. Grazie alle missioni LICIAcube e Hera, in avanzata fase di realizzazione, l’Asi parteciperà insieme alla Nasa e all’Esa al primo esperimento di deflessione ‘in volo’ di un piccolo asteroide».