La distanza fra le stelle influisce sulla composizione dei dischi circumstellari. È quanto si evince da un nuovo studio, pubblicato sul The Astrophysical Journal, condotto dal 2016 al 2019 dalla ricercatrice Elena Sabbi, dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, negli Stati Uniti, che ha cercato di investigare le proprietà delle stelle durante le loro prime fasi evolutive e di tracciare lo sviluppo dell’ambiente circumstellare attraverso l’osservazione di Westerlund 2.
Westerlund 2 è cluster che contiene una ricca popolazione di stelle, situato nella regione nota come Gum 29. È considerato un immenso laboratorio che Hubble, telescopio spaziale di Nasa/Esa, osserva e del quale può seguire le evoluzioni.
Gli astronomi del team di ricerca hanno così scoperto che i pianeti hanno più difficoltà a formarsi nella regione centrale dell’ammasso Westerlund 2, mentre nella parte più periferica del cluster le stelle hanno sviluppato, all’interno dei loro dischi circumstellari, immense nuvole di polvere, base della formazione dei pianeti. I ricercatori suggeriscono che ciò sia dovuto alla posizione delle stelle: parte di quelle che si trovano nella zona centrale del cluster sono estremamente massicce, alcune arrivano ad avere 100 volte la massa del Sole, le loro radiazioni ultraviolette molto potenti e i forti venti eroderebbero i dischi cirmustellari delle stelle vicine e disperderebbero l’ammasso di quella polvere.
«Fondamentalmente, se hai stelle di enormi dimensioni, la loro energia cambierà le proprietà dei dischi», afferma Elena Sabbi e aggiunge che l’ammasso di polvere subirebbe delle variazioni dovute all’influenza di queste stelle massicce, non avendo così più le caratteristiche necessarie per il processo di formazione dei pianeti.
Relativamente giovane, circa due milioni di anni, Westerlund 2 ospita alcune delle giovani stelle più grandi e calde della Via Lattea, il suo ambiente è costantemente bombardato dalle radiazioni ultraviolette e dai venti stellari prodotti da questi giganti. Il team di ricerca ha inoltre scoperto che delle quasi 5000 stelle con una massa da 0,1 a 5 volte quella del Sole, almeno 1500 di queste sarebbero soggette a fluttuazione nella loro luminosità, da addebitare a polveri e planetesimi che ne oscurerebbero temporaneamente la luminosità. Ma questo fenomeno si manifesterebbe solo nelle stelle presenti nella periferia del cluster e non nella regione più vicina al nucleo.
Grazie a Hubble, e alla sua Wide Field Camera 3, è stato possibile investigare attraverso le polveri di Westerlund 2 e arrivare a una conoscenza sempre maggiore per studiare l’evoluzione delle stelle, dei loro dischi e della formazione dei pianeti. Con il prossimo James Webb space telescope di Nasa/Esa/Csa, un osservatorio a infrarossi, i ricercatori saranno in grado di studiare quali dischi non accumulano materiale e quali invece hanno quel materiale che potrà trasformarsi in pianeti. Webb studierà la composizione dei dischi e come cambiano con l’ambiente circostante e, spiega Danny Lennon, dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e l’Universidad de La Laguna, se confermerà che i le potenti radiazioni ultraviolette delle stelle massicce alterano i dischi delle stelle vicine, si potrà anche spiegare perché i pianeti sono rari nei grandi ammassi globulari.