E’ burrascoso il ‘meteo’ di Giove, dove imperversano le tempeste più violente di tutto il Sistema Solare. Per comprendere i meccanismi sottesi a questa particolare condizione atmosferica, è stata messa in campo una squadra di tutto rispetto: la sonda Juno della Nasa (che vanta un significativo contributo italiano), lo storico telescopio spaziale Nasa/Esa Hubble e, da terra, l’osservatorio Gemini. I risultati di questo lavoro di gruppo sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal (articolo: “High-resolution UV/Optical/IR Imaging of Jupiter in 2016–2019”); la ricerca, cui ha preso parte anche l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’Inaf, è stata condotta da un team internazionale, coordinato dall’Università della California-Berkeley.
Gli studiosi hanno potuto compiere nuovi approfondimenti delle intense perturbazioni gioviane, combinando i dati di Juno (osservazioni effettuate durante le orbite intorno a Giove), Hubble e Gemini (osservazioni relative a lunghezze d’onda multiple). Le tempeste gioviane, di proporzioni colossali rispetto a quanto avviene sulla Terra, presentano addensamenti nuvolosi che, dalla base alla cima, superano i 60 chilometri di estensione e fulmini tre volte più carichi di energia in paragone a quelli terrestri più violenti. Inoltre, come avviene per le loro ‘colleghe’ della Terra, le saette del gigante gassoso emettono onde radio e luce visibile. I passaggi di Juno al di sopra di questi sistemi temporaleschi hanno rilevato segnali radio, definiti sferici e whistler, utili per tracciare i fulmini in condizioni in cui non sarebbero facilmente visibili (quando si verificano nelle profondità delle nubi oppure sul versante del pianeta illuminato dal Sole).
In concomitanza con le visite della sonda, Hubble e Gemini, dai loro punti di vista, hanno effettuato altre osservazioni in alta risoluzione che hanno consentito una migliore interpretazione dei dati di Juno. Infatti, il radiometro a microonde (Mwr) di questa missione può rilevare le onde radio ad alta frequenza nelle pieghe dell’atmosfera gioviana, mentre Hubble e Gemini sono in grado di percepire quanto siano spesse le nubi e a quale livello di profondità possano essere scrutate. Inoltre, unendo i dati del ‘terzetto’, i ricercatori hanno riscontrato che le esplosioni dei fulmini sono associate ad una particolare combinazione di strutture nuvolose: nubi di profondità costituite da acqua, vaste ‘torri’ convettive dovute alla risalita di aria umida e regioni limpide, probabilmente originate dalla discesa di aria più secca al di fuori delle ‘torri’. Gli studiosi ritengono che i fulmini siano più comuni in quelle aree in cui si verifica la convezione dell’umidità e che la correlazione tra essi e le nubi d’acqua sia utile per misurare l’ammontare del liquido nell’atmosfera di Giove; questo dato è importante per capire come si siano formati i giganti gassosi e ghiacciati del Sistema Solare.
In occasione di questo studio è stata monitorata anche la celebre tempesta anticiclonica nota come Grande Macchia Rossa: la combinazione dei dati di Juno, Hubble e Gemini ha permesso di rilevarne i cambiamenti a breve termine, anche per quanto riguarda delle peculiarità come le strutture scure che appaiono ad intermittenza e cambiano forma nel corso del tempo. L’utilizzo combinato dei dati, specie di Hubble (luce visibile) e Gemini (infrarosso) ha evidenziato che tali strutture sono delle aperture nella coltre nuvolosa.
Gli studiosi ritengono che l’apporto di Hubble e Gemini sia di fondamentale importanza per una più precisa interpretazione dei dati di Juno; le informazioni ottenute con il nuovo studio sono state messe a disposizione della comunità scientifica tramite l’archivio Mast dello Space Telescope Science Institute di Baltimora.