Producono intorno a sé dei vortici, ma invece di smuovere acqua o vento formano dischi di gas e polveri, che, riscaldati a temperature di milioni di gradi, risplendono nei raggi X: sono alcuni buchi neri super-massicci, protagonisti di uno studio appena pubblicato su The Astrophysical Journal (articolo: “Constraining Quasar Relativistic Reflection Regions and Spins with Microlensing”). La ricerca, supportata dalla Nasa nell’ambito dell’Astrophysics Data Analysis Program, è stata condotta da un team di astronomi delle Università dell’Oklahoma e della Florida e della United States Naval Academy, che ha sviluppato una nuova tecnica di misurazione della rotazione dei buchi neri; gli studiosi si sono basati sui dati dell’osservatorio Chandra della Nasa e hanno sfruttato l’effetto lente gravitazionale, che ha consentito di osservare oggetti particolarmente distanti. Nello specifico, il gruppo di lavoro si è focalizzato su sei quasar, ognuno dei quali presenta un buco nero super-massiccio intento a divorare velocemente il materiale di un vicino disco di accrescimento. I quasar si trovano ad una distanza dalla Terra compresa tra 8,8 e 10,9 miliardi di anni luce, mentre i loro buchi neri hanno una massa che oscilla tra 160 e 500 milioni di volte quella del Sole.

Chandra ha potuto osservare i quasar grazie alla presenza della galassia Zw 2237 +030, che si è comportata come una lente d’ingrandimento; l’effetto ha creato immagini multiple di questi particolari oggetti celesti, come si può vedere dalle foto in alto. Gli studiosi, inoltre, si sono giovati anche dell’effetto ‘microlensing’, dovuto ad alcune stelle della galassia-lente che hanno prodotto un ulteriore ingrandimento della luce dei quasar; un maggiore ingrandimento corrisponde ad un’area più piccola che produce emissioni di raggi X. I ricercatori hanno poi tenuto presente una proprietà dei buchi neri rotanti: essi trascinano lo spazio circostante con queste emissioni e la materia orbita intorno a loro più vicino di quanto avvenga con i buchi neri che non ruotano. Quindi, una regione di emissione più piccola corrispondente ad un’orbita stretta implica generalmente un buco nero che volteggia a grandi velocità. Uno dei buchi neri presi in considerazione, situato nel quasar definito ‘Croce di Einstein’ (Q 2237+0305), sta girando pressoché al massimo della velocità possibile e la sua emissione di raggi X deriva da parte del disco, che è pari a 2,5 volte le dimensioni dell’orizzonte degli eventi del buco nero.

Gli astronomi hanno formulato un’ipotesi per questo movimento frenetico: a loro avviso, nel corso di miliardi di anni, i buchi neri super-massicci dovrebbero essere cresciuti traendo la maggior parte del materiale da un disco di accrescimento, che gira con un orientamento e una direzione della rotazione simili. I raggi X rilevati da Chandra si producono quando il disco di accrescimento forma una nube da milioni di gradi (corona) che si colloca al di sopra di esso e vicino al buco nero. I raggi X della corona riflettono il bordo interno del disco e l’intensa forza gravitazionale nell’area del buco nero distorce il loro spettro. Le ampie distorsioni riscontrate nello spettro dei quasar oggetto dello studio implicano che il bordo interno del disco debba essere piuttosto vicino ai buchi neri, confermando il loro roteare incessante.