Piccoli, rocciosi e composti da elementi densi: sono questi i tratti salienti degli esopianeti in grado di tenere testa al caos che si scatena quando le loro stelle ospiti giungono al capolinea. Lo afferma un nuovo studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (articolo: “Orbital relaxation and excitation of planets tidally interacting with white dwarfs”), in cui gli autori hanno delineato una sorta di manuale di sopravvivenza per pianeti extrasolari, che potrà fornire anche utili parametri per andare in cerca di questi corpi celesti in determinati contesti.
Lo studio, coordinato dal Centre for Exoplanets and Habitability dell’Università di Warwick (Regno Unito), si basa su simulazioni: gli astrofisici, infatti, hanno realizzato i modelli di differenti tipi di pianeti e delle interazioni con i loro astri, quando raggiungono lo status di nane bianche, e hanno individuato i vari fattori che influiscono sulla loro sopravvivenza.Gli esopianeti, se non sono travolti dal marasma che si scatena quando le stelle emettono i loro strati esterni, si trovano a dover affrontare le forze mareali che derivano da questi eventi rovinosi: le spinte gravitazionali, infatti, potrebbero trascinare i corpi celesti in nuove orbite, spostarli al di fuori del loro sistema di riferimento oppure distruggerli.
I fattori da cui dipende la sopravvivenza o meno di un pianeta sono molteplici, ma le simulazioni hanno messo in luce che gli esemplari più massicci sono particolarmente esposti alle conseguenze catastrofiche delle forze mareali. Altri fattori critici sono la posizione dei corpi celesti rispetto al raggio di distruzione della nana bianca e il loro livello di viscosità; i pianeti con una bassa viscosità sono più a rischio, mentre quelli costituiti da un nucleo denso di elementi pesanti, se situati ad una distanza di sicurezza, possono sfuggire ad un epilogo infausto. Secondo gli autori, lo studio è uno dei pochi ad avere analizzato gli effetti delle forze mareali tra esopianeti e nane bianche e schiude nuovi scenari di ricerca, in quanto la modellistica in esso proposta potrà essere utilizzata per verificare la presenza di pianeti rocciosi nei pressi delle nane bianche (in alto – credits: University of Warwick/Mark Garlick).