“Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”. Era il 1982 quando usciva nelle sale Blade Runner, capolavoro di Ridley Scott che immaginava un futuro fantascientifico popolato dai replicanti, robot umanoidi così simili all’uomo da essere potenzialmente pericolosi. Anno di ambientazione del film un futuro lontano ma non troppo, posizionato esattamente nel 2019. Oggi che a quell’anno ci siamo arrivati, gran parte dello scenario dipinto da Scott ci sembra ancora fantascienza, ma non tutto.
“La visione di Ridley Scott e del suo direttore della fotografia è stata anticipatoria del futuro – commenta il critico cinematografico Marco Spagnoli – e sicuramente Blade Runner è uno di quei film che ha influenzato l’immaginario. Il dibattito è ancora lo stesso: cosa succede se noi affidiamo le nostre vite a delle intelligenze artificiali? Cosa succede se lasciamo le macchine guidare, se le lasciamo diventare i nostri infermieri, i nostri babysitter, i nostri autisti, i nostri cuochi, i nostri e le nostre amanti? È una riflessione che parte certamente da Blade Runner e che oggi ha un eco profondamente diverso, rispetto a quando 30 anni fa tutto questo era molto meno possibile di quanto lo sia ora.”
L’idea cinematografica proposta da Blade Runner degli automi come servitori ma anche possibile minaccia è in realtà più antica, e risale all’origine stessa del termine robot dal ceco “robota”, che significa schiavo, lavoratore forzato. A coniarlo, nel 1920, lo scrittore praghese Karel Čapek, che lo utilizza per la prima volta in un testo teatrale indicando automi in forma umanoide che si ribellano agli uomini.
“La robotica umanoide com’è descritta in Blade Runner – dice Nicola Nosengo, giornalista scientifico – è ancora assolutamente fuori questione. Non abbiamo le tecnologie per fare delle macchine che siano in grado di comunicare in modo così naturale con gli esseri umani; meno che mai abbiamo le tecnologie per costruire dei corpi artificiali credibili, che possano consentire un’interazione abbastanza sicura tra esseri umani e macchine. I robot umanoidi che abbiamo sono ancora fatti di componenti rigidi, sono mossi da motori elettrici o idraulici che producono movimenti lenti e sgraziati, e non è troppo sicuro trovarsi a lavorare attorno a queste macchine.”
Anche se molto diversi da quelli visti nei film, i robot sono comunque presenti nella nostra vita da diversi anni, e non parliamo di robotica umanoide. Uno dei punti centrali della moderna intelligenza artificiale è il cosiddetto machine learning, la possibilità di apprendimento delle macchine per eseguire movimenti sempre più complessi. È grazie alla tecnologia robotica che abbiamo esplorato gran parte del Sistema solare, ed è sempre alla robotica che si affida il futuro sogno dell’esplorazione umana interstellare. Nel frattempo, si è anche concretizzato un primo esperimento di astronauta-robot: è il caso di Robonaut, l’androide della Nasa spedito sulla Iss nel 2011, e attualmente rientrato per alcuni interventi all’hardware. Dovrebbe essere rispedito a breve in orbita bassa, con la speranza di fornire agli astronauti in missione un compagno robotico sempre più utile per alcune attività nella casa spaziale. Ma se sulla tecnologia dei robot umanoidi c’è ancora molto da lavorare, oggi guardando Blade Runner 37 anni dopo la sua data di uscita scopriamo che ci sono settori in cui la robotica ha già fatto passi da gigante.
“Anche se la ricerca sugli umanoidi è spesso quella che ha più visibilità mediatica – conclude Nicola Nosengo – non è oggi la parte più interessante della ricerca sulla robotica, che riguarda soprattutto il tentativo di ricreare attraverso i robot le proprietà di altri esseri viventi. A differenza dell’essere umano, questi robot sono in grado di esplorare ambienti estremi, dal sottosuolo agli ambienti sottomarini: ambienti in cui gli uomini tipicamente non vanno, e in cui quindi è meglio mandare robot che non abbiano la forma di un essere umano.”