Alcuni ricercatori dell’Università di Houston hanno approvato e proposto un nuovo metodo di analisi dei dati, che usa il deep learning (apprendimento profondo), per automatizzare il controllo delle cosiddette ‘zone di galleggiamento’ dei ghiacciai a contatto con gli oceani, cioè il confine tra la parte che poggia sulla terraferma e quella che si estende sopra le acque.
Tenere sotto costante controllo questo confine è molto importante per l’insieme degli studi tesi alla comprensione del cambiamento climatico e dei suoi effetti. La ‘zona di galleggiamento’ si può considerare infatti un indicatore utile, in quanto consente di controllare il ritiro di un ghiacciaio a causa del suo scioglimento e il conseguente innalzamento del livello dei mari.
Al momento, il controllo della salute e il comportamento di un ghiacciaio viene effettuato con con vari metodi, riassumibili in quelli ‘idrostatici’, che prendono in esame l’elevazione e la curvatura delle superfici e quelli ‘mareali’, che includono l’Interferometria differenziale Sar, una tecnica di telerilevamento che utilizza le osservazioni fatte con i satelliti.
I dati raccolti con questi metodi vengono analizzati manualmente da esperti ed è un lavoro enorme perché la quantità di informazioni a disposizione è notevole.
L’automazione di queste analisi potrebbe quindi alleggerire e velocizzare il processo, anche perché la mole di dati a disposizione è in continuo aumento. Le implicazioni del passaggio da un sistema manuale a uno automatizzato, basato sullo sfruttamento dell’Intelligenza Artificiale e le reti neurali, sono state oggetto di una recente valutazione dei vantaggi e delle criticità.
I risultati sono stati raccolti in uno studio pubblicato su Remote Sensing of Environment.
Nella ricerca sono stati presi in esame 171 interferogrammi, che si riferiscono a cinque ghiacciai situati in Antartide, confrontando l’attuale analisi manuale con due diverse procedure automatizzate. Queste ultime, sfruttando le più recenti tecniche di apprendimento automatico e profondo, hanno operato basandosi su diversi dataset. La composizione di questi ha incluso dati provenienti dai satelliti Radarsat, Alos Palsar, Ers, Terra Sar-X, TanDem-x e Sentinel-1, in un arco temporale variabile dal 1992 al 2017.
Tra i ghiacciai scelti, spicca la piattaforma ‘Università di Mosca’ , che in questi ultimi decenni ha subìto un ritiro significativo. Grazie al nuovo metodo, si è scoperto che dal 1996 al 2022 la sua superficie si è ridotta mediamente di 340 metri l’anno, mentre per gli altri ghiacciai non si è registrato alcun segno di ritiro.
Nel comparare i metodi di analisi, i ricercatori hanno anche notato che il ghiacciaio Veststraumen ha una ‘zona di galleggiamento’ molto estesa, ben 9,7 chilometri e cioè sei volte superiore alla grandezza media degli altri 4 ghiacciai.
La ricerca è stata sviluppata grazie a una collaborazione internazionale che include il programma ‘Cryosphere’ della Nasa e soprattutto l’utilizzo di dati radar in alta risoluzione forniti dalla missione Cosmo-SkyMed dell’Agenzia Spaziale Italiana.
«Già in precedenti pubblicazioni questo team di ricerca ha dimostrato la capacità peculiare della costellazione di satelliti Asi ‘Cosmo-Skymed’ nel mappare e monitorare le linee di galleggiamento dei ghiacciai antartici e della Groenlandia – spiega Luigi Dini dell’Agenzia Spaziale Italiana, che ha svolto un ruolo nella composizione e revisione dello studio – In questo nuovo lavoro il team di ricerca ha introdotto tecniche di IA che consentono un’elaborazione automatica, massiva e frequente delle immagini Sar riprese dalla costellazione Cosmo-SkyMed.
L’Asi garantisce il supporto a questa attività assicurando, ormai da circa un decennio, una pianificazione di acquisizione frequente, continua e regolare su zone vaste della calotta antartica e della Groenlandia, costruendo e gestendo gli archivi di dati indispensabili alla comunità scientifica internazionale.»
L’automazione, utilizzando l’apprendimento profondo, ha mostrato qualche criticità ma, secondo lo studio, oltre al monitoraggio dei ghiacciai potrebbe portare interessanti sviluppi anche agli studi sulla ‘criosfera’, cioè la parte delle terre emerse coperte dai ghiacci. Inoltre, aiuterebbe a gettare una nuova luce sui meccanismi mareali che caratterizzano e plasmano le ‘zone di galleggiamento’.
Infine, consente di delineare l’evoluzione dal 1996 a oggi dei ghiacciai presi in esame.
Foto: Alcuni esempi di interferogrammi Sar raccolti tra il 1992 e il 2021 del ghiacciaio Petermann, situato in Groenlandia. Le linee verdi indicano la posizione delle ‘zone di galleggiamento’ che variano secondo l”anno indicato.