Un piccolo buontempone, impegnato a giocare a nascondino tra le migliaia di stelle di un cluster, che però non è riuscito ad avere la meglio sullo sguardo indagatore del telescopio Vlt dell’Eso: l’oggetto celeste dalla natura ludica è un buco nero mignon, individuato osservando l’influenza che esercita sui movimenti di un astro situato nelle sue vicinanze.

Questa metodologia d’indagine è stata utilizzata per la prima volta ed è al centro di uno studio accettato per la pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (articolo: “A black hole detected in the young massive Lmc cluster Ngc 1850”). L’indagine, coordinata dall’Istituto di Ricerche Astrofisiche dell’Università John Moores di Liverpool e svolta da un team internazionale, ha visto il coinvolgimento di scienziati italiani: Sara Saracino, prima autrice del saggio – ora in forze alla John Moores, e Mario Giuseppe Guarcello dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Palermo.

Il cluster che aveva offerto una ‘tana’ al buco nero è Ngc 1850, situato ad una distanza di circa 160mila anni luce dalla Terra nella Grande Nube di Magellano, galassia vicina alla Via Lattea. Il team della ricerca, per stanare lo sfuggente oggetto celeste, ha dovuto svolgere un lungo lavoro investigativo sulla fitta popolazione stellare di Ngc 1850, passando al setaccio i dati raccolti in oltre 2 anni dallo strumento Muse (Multi Unit Spectroscopic Explorer) del Vlt. Questo spettrografo ha permesso agli scienziati di osservare aree molto affollate, come le regioni interne dell’ammasso, analizzando la luce di ogni astro. In questo modo, è emersa la stella dagli strani movimenti che ha ‘tradito’ il buco nero.

Il ‘fuggiasco’ ha una massa pari a circa 11 volte quella del Sole. Buchi neri così piccoli non sono una novità per gli studiosi, visto che ne sono stati individuati alcuni esemplari in altre galassie captando il bagliore dei raggi X – emesso quando si nutrono – oppure in base alle onde gravitazionali, generate quando i buchi neri si scontrano tra loro o con le stelle di neutroni.

La maggior parte dei buchi neri di massa stellare non svela la sua esistenza tramite le due modalità di cui sopra: la loro presenza, però, può essere notata quando formano un sistema con un astro perché ne influenzano il movimento in maniera discreta, ma rilevabile con strumenti sofisticati.

La scoperta, oltre ad aver visto l’utilizzo di questo inedito metodo d’indagine, ha anche un altro record: è la prima volta in cui un buco nero viene trovato in un ammasso piuttosto giovane in termini astronomici (all’incirca, Ngc 1850 ha ‘solo’ 100 milioni di anni). Gli autori del saggio ritengono che i risultati ottenuti genere possano schiudere nuove prospettive nel filone di ricerca riguardante i buchi neri e la loro evoluzione, soprattutto mettendo a confronto i nuovi dati con quelli dei buchi neri ‘maturi’ che si trovano in vecchi cluster stellari.

In alto: elaborazione artistica del buco nero oggetto dello studio (Crediti: Eso/M. Kornmesser)