I crateri lunari sono la traccia del bombardamento da corpi celesti che ha interessato il nostro sistema Terra-Luna. Eppure, anche se previsti dalle analisi dei campioni prelevati dalle missioni Apollo, i primi grandi impatti da asteroidi o corpi celesti subiti dal nostro satellite in giovane età non hanno lasciato il tipico cratere.

Una recente ricerca della Curtin University, pubblicata su Nature Communications, fornisce una risposta a questa mancanza: impatti più antichi si sono verificati con una Luna ancora in parte magmatica. Avrebbero dunque partorito impronte quasi invisibili, che sfuggono al nostro rilevamento. Bacini dall’aspetto significativamente diverso dai tipici crateri oggi osservabili in quanto avvenuti mentre la Luna si stava ancora raffreddando, dopo la sua formazione.

Questo scenario è in accordo con la teoria a oggi più accreditata dalla comunità scientifica sulla nascita del nostro satellite naturale: quella dell’impatto gigante.

Circa 4533 milioni di anni fa la Terra sarebbe stata colpita da un corpo delle dimensioni di Marte, chiamato Theia. Dall’impatto si sarebbe generato il nostro satellite la cui massa deriva in parte da Theia e in parte da significative porzioni di crosta e mantello terrestre staccatesi per l’urto. La giovane Luna si è formata quindi come un oceano di magma.

«Il periodo di tempo per la solidificazione dell’oceano di magma lunare varia significativamente tra i diversi studi – afferma Katarina Miljkovic, autrice principale dello studio e planetologa della Scuola di Scienze della Terra e Planetarie della Curtin University– ma potrebbe essere stato abbastanza prolungato da sperimentare alcuni dei grandi bombardamenti da impatto tipici dei primi periodi dell’evoluzione del sistema solare.»

Attraverso una modellazione numerica, la ricerca ha indagato i diversi bacini rilasciati nelle prime ore dall’impatto studiandone la morfologia in relazione alla diversa natura della Luna. Il bacino dell’impatto è risultato sostanzialmente diverso quando è presente uno strato fuso a bassa viscosità tra la crosta e il mantello lunare.

Quando questo strato risulta maggiore di 10 km, le simulazioni di impatto mostrano che il processo di formazione del bacino è dominato dall’afflusso dello strato di fusione: durante il collasso del cratere, questo afflusso porta la crosta circostante verso il centro del bacino creando così una firma topografica meno visibile e diversa dai crateri a noi conosciuti.

«Quando gli asteroidi e altri corpi hanno colpito una superficie più morbida, non avrebbero lasciato impronte così gravi, il che significa che ci sarebbero state poche prove geologiche o geofisiche che l’impatto fosse avvenuto» afferma Katarina Miljkovic.

La ricerca risulta essere coerente con le recenti previsioni secondo cui gli impatti da corpi celesti sarebbero stati più elevati nella prima fase di vita lunare, risultando così un importante contributo per comprendere le prime evoluzioni del sistema Terra-Luna.

 

Crediti immagine in evidenza: ESA