Marte, un tempo, era attraversato da fiumi e bagnato da laghi e mari. La stessa zona arida e deserta in cui, non a caso, è atterrato Il rover della Nasa Perseverance, un tempo era il delta di un fiume. Se il passato bagnato di Marte è oggi un dato certo, altrettanto chiare non sono le circostanze che lo hanno permesso.

Un’apparente contraddizione che lascia ancora perplessi gli scienziati riguarda il rapporto tra la presenza dell’acqua e il clima del pianeta: come è possibile che vi fosse acqua liquida sulla superficie se in quell’epoca Marte riceveva meno di un terzo del calore di cui oggi godiamo sulla Terra?

Un nuovo studio condotto dall’Università di Chicago e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences utilizza un modello computerizzato per fornire una spiegazione promettente: delle sottili nubi ghiacciate in alta quota potrebbero aver causato un effetto serra.

Delle molteplici ipotesi che gli scienziati avevano precedentemente avanzato, nessuna ha mai funzionato del tutto. Ad esempio, alcuni hanno suggerito che l’impatto di un enorme asteroide potrebbe aver rilasciato abbastanza energia cinetica per riscaldare il pianeta. Tuttavia, altri calcoli hanno mostrato che questo effetto sarebbe durato solo un anno o due, mentre le tracce di antichi fiumi e laghi testimoniano che il riscaldamento sia durato almeno per centinaia di anni.

Gli scienziati autori dello studio hanno rivisitato una spiegazione alternativa: nuvole ad alta quota, come i cirri sulla Terra. Anche una piccola quantità di nuvole nell’atmosfera può aumentare in modo significativo la temperatura di un pianeta, un effetto serra simile a quello causato all’anidride carbonica.

L’idea era stata proposta per la prima volta nel 2013, ma era stata in gran parte accantonata perché si è sostenuto che avrebbe funzionato solo se le nuvole avessero avuto proprietà non plausibili. Ad esempio, i modelli suggerivano che l’acqua avrebbe dovuto rimanere a lungo nell’atmosfera, molto più a lungo di quanto non faccia normalmente sulla Terra, quindi l’intera prospettiva sembrava improbabile.

Utilizzando un modello 3D dell’atmosfera dell’intero pianeta, il team avrebbe trovato l’elemento validante di questa teoria, ovvero la quantità di ghiaccio sul terreno. Se ci fosse stato molto ghiaccio a  ricoprire ampie porzioni di Marte, si sarebbe creata un’umidità superficiale che avrebbe favorito le nuvole a bassa quota, che non si pensa possano riscaldare molto i pianeti (anzi, potrebbe addirittura raffreddarli, perché le nuvole riflettono la luce solare lontano dal pianeta).

Se invece il ghiaccio fosse stato presente solo a chiazze, per esempio ai poli e in cima alle montagne, l’aria al suolo sarebbe stata molto più secca. Condizioni che avrebbero favorito la creazione un alto strato di nuvole, nuvole che a loro volta, avrebbero contribuito a riscaldare il pianeta più facilmente.

«Il nostro modello – spiega il professor Kite a guida dello studio – suggerisce che una volta che l’acqua si è spostata nell’atmosfera marziana primordiale, sia rimasta lì per un periodo piuttosto lungo – circa un anno – e questo avrebbe creato le condizioni per la formazione di nuvole ad alta quota di lunga durata».

Il rover Perseverance dovrebbe essere in grado di testare questa ipotesi in diversi modi, ad esempio analizzando i ciottoli, in modo da ricostruire la pressione atmosferica passata su Marte.

«Marte è importante perché è l’unico pianeta che sappiamo aver avuto la capacità di sostenere la vita e poi l’ha persa», ha detto Kite. «La Terra, al contrario, presenta una stabilità climatica a lungo termine. Vogliamo capire i modi in cui la stabilità climatica a lungo termine di un pianeta possa interrompersi e come possa essere mantenuta».

In apertura: il cratere Jezero, luogo scelto per l’atterraggio del rover Perseverance, come doveva apparire miliardi di anni fa. Crediti NASA/JPL-Caltech