Si trovano agli antipodi, ma sono accomunate dalla condizione di precarietà delle loro coltri glaciali, messe a dura prova dai ‘capricci’ del clima: si tratta della Groenlandia e dell’Antartide, tenute sotto controllo anche via satellite, e al centro di due studi pubblicati di recente.

La grande isola, situata tra l’Oceano Atlantico settentrionale e il Mar Glaciale Artico, e il ‘continente bianco’ all’estremo sud della Terra vedono da tempo minacciato il loro ghiaccio, il cui scioglimento può portare a pesanti conseguenze per gli ecosistemi e le attività e gli insediamenti umani; tra le più gravi, l’innalzamento del livello dei mari.

Alla Groenlandia è dedicato uno studio di Communications Earth & Environment (articolo “The climate sensitivity of northern Greenland fjords is amplified through sea-ice damming”), coordinato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Stoccolma. La ricerca, che ha utilizzato in sinergia dati satellitari e osservazioni sul campo, si è focalizzata sulla fragilità dei fiordi groenlandesi; nello specifico, sono state impiegate le informazioni raccolte da diversi satelliti, come Terra della Nasa (in particolare lo spettro-radiometro Modis), CryoSat-2 dell’Esa (soprattutto lo strumento Siral) e Grace-Fo della Nasa. Sono stati utilizzati anche i dati del Climate Change Service di Copernicus, il programma di Osservazione della Terra della Commissione Europea.

Lo studio ha evidenziato il ruolo dello spesso strato di ghiaccio, che galleggia all’imboccatura dei fiordi, nell’accrescere la loro sensibilità al riscaldamento globale. Si tratta di un complesso fenomeno in cui entrano in gioco numerosi fattori, come la temperatura dell’aria e della superficie marina, la differenza di salinità tra il mare e l’acqua dolce e, in taluni casi, anche la conformazione dei fondali. Inoltre, è stato notato che lo strato di ghiaccio galleggiante, associato ai climi più freddi, può tuttavia portare ad un innalzamento delle temperature superficiali dell’acqua nei fiordi, rendendoli più sensibili: è quanto accade a quelli che si susseguono sulla costa settentrionale dell’isola, mentre quelli privi di una ‘barriera’ di ghiaccio fluttuante appaiono più resistenti.

L’Antartide è costantemente al centro dell’attenzione dei climatologi e degli sguardi elettronici dei satelliti per la sua fragilità, resa drammaticamente evidente dai danni patiti dalle sue piattaforme glaciali. Ed è proprio su queste aree che si è centrato un recente studio, coordinato dal British Antarctic Survey e dal Laboratorio di Climatologia dell’Università di Liegi (articolo: “Surface melt and runoff on Antarctic ice shelves at 1.5°C, 2°C and 4°C of future warming”). Le piattaforme glaciali svolgono un ruolo fondamentale per preservare la coltre bianca del continente antartico: formano delle barriere che impediscono al ghiaccio di entrare in contatto direttamente con l’oceano, da cui deriverebbe lo scioglimento. Il 34% di queste delicate strutture, secondo gli autori del saggio, potrebbe addirittura sparire entro la fine del secolo se la temperatura della Terra aumentasse di 4°C rispetto ai livelli di calore dell’epoca pre-industriale. L’aumento impedirebbe alle precipitazioni nevose di ristabilire l’equilibrio di cui le piattaforme hanno bisogno per sopravvivere.

Emblematico di questa estrema fragilità è il caso della piattaforma Larsen B, che è in gran parte collassata nel 2002, come si può vedere nell’immagine Nasa in basso. Per questa ricerca è stato utilizzato il modello informatico Mar (Modèle Atmosphérique Régional), sviluppato dall’Università di Liegi; con questo strumento sono stati analizzati diversi scenari, con vari incrementi di temperatura, che entro la fine del secolo potrebbero portare alla rottura irreparabile delle piattaforme più a rischio, come Larsen C, Shackleton, Pine Island e Wilkins.

In alto: l’area settentrionale della Groenlandia analizzata nello studio (Crediti: C. Stranne et al.) 

In basso: la rottura della piattaforma Larsen B (Crediti: Nasa)