Diversi milioni di anni fa la nostra dimora planetaria non era forse così diversa a come la conosciamo oggi. Anzi, è possibile che il Sistema solare abbia raggiunto la sua configurazione attuale poco tempo dopo la sua formazione. È quanto afferma un team di ricerca brasiliano, che ha sviluppato un nuovo modello recentemente pubblicato sulla rivista Icarus. Secondo gli scienziati, il caotico capitolo della storia dell’Universo che ha posizionato i pianeti nella loro orbita attorno al Sole sarebbe iniziato soltanto 100 milioni di anni dopo la nascita dei mondi più grandi. Un battito di ciglia, in termini astronomici.

Ma perché è così importante sapere quando la Terra e gli altri pianeti hanno iniziato la loro elegante danza attorno alla nostra stella? Per rispondere occorre andare un po’ indietro nella storia della scienza. Ai tempi in cui l’astronomia si fonde con la filosofia: è infatti Immanuel Kant il primo a ipotizzare che il Sistema solare si sia formato a partire da una nebulosa primordiale. Siamo nel 1755, e il filosofo tedesco pubblica l’opera Storia universale della natura e teoria del cielo, in cui sostiene appunto che una gigante nube di polveri e gas abbia dato origine al nostro sistema planetario. Qualche anno più tardi, il matematico, fisico e astronomo Pierre Simon de Laplace, probabilmente indipendentemente da Kant, formula un’ipotesi simile.

L’intuizione originale di Kant e di Laplace, debitamente corretta e verificata dai dati osservativi, è oggi una teoria consolidata tra gli astronomi. Eppure non mancano le controversie. Il modo in cui stelle e pianeti si sono comportati a partire da quella nebulosa primordiale cambia infatti sostanzialmente ciò che sappiamo sull’evoluzione planetaria. Ecco perché è fondamentale identificare il momento in cui il Sistema solare ha assunto la conformazione attuale.

La teoria più accreditata afferma che questo fenomeno sia stato il risultato di un periodo di turbolenza cosmica avvenuto addirittura 700 milioni di anni dopo la formazione della nebulosa primordiale. Eppure ricerche recenti suggeriscono che la moderna organizzazione planetaria sia in realtà avvenuta in un passato molto più remoto, nei primi 100 milioni di anni.

Il nuovo studio, coordinato dall’Università di San Paolo, va proprio in questa seconda direzione. Gli scienziati hanno costruito una simulazione del giovane Sistema solare, considerando un ingrediente che la maggior parte dei modelli aveva fino ad oggi lasciato fuori: i cosiddetti planetesimi. Si tratta di oggetti rocciosi primordiali alla base della formazione di pianeti, satelliti e asteroidi. Quando era ancora in formazione, il Sistema solare contava una vastissima popolazione di planetesimi. In particolare nelle sue zone più esterne, dove attualmente si trovano le orbite di Nettuno e Plutone.

«Abbiamo simulato per la prima volta il disco planetesimale primordiale – spiega Rafael Ribeiro de Sousa, prima firma dell’articolo – e per farlo abbiamo ricostruito l’evoluzione dei giganti di ghiaccio Urano e Nettuno. La novità del nostro modello è che inizia con pianeti non completamente formati, quando Urano e Nettuno sono ancora in fase di crescita. Il motore della crescita è costituito da due o tre collisioni che coinvolgono oggetti con un massimo di cinque masse terrestri».

Nella situazione immaginata de Sousa e colleghi, Giove e Saturno già esistono, ma al posto di Urano e Nettuno ci sono da cinque a dieci super Terre che collidono tra loro a causa dell’interazione con i giganti gassosi già formati. Queste collisioni consumano il disco planetesimale primordiale, e ciò che rimane va appunto a formare Urano e Nettuno. Si tratta di un semplice passaggio, ma cruciale per determinare la futura posizione dei pianeti.

«La crescita di Urano e Nettuno – spiega infatti de Sousa – definisce la posizione del confine interno del disco planetesimale, l’attuale fascia di Kuiper. Questa cintura di fatto è un relitto del disco planetesimale primordiale, che una volta era molto più massiccio». In base a questo modello, gli antichi planetesimi avrebbero avuto quindi un ruolo fondamentale nel determinare le orbite dei moderni pianeti, e quindi l’intera configurazione del nostro sistema planetario.