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Fotosintesi e schermo UV, Venere sempre più ‘vicina’ alla Terra

In attesa che nuove missioni partano alla volta di Venere, gli scienziati ci aggiornano sulle scoperte che riguardano la possibilità di sopravvivenza di microrganismi sul pianeta.

In un nuovo studio pubblicato su Astrobiology, il biochimico Rakesh Mogul ha scoperto che l’atmosfera di Venere può essere in grado di trattenere la maggior parte dei raggi ultravioletti dannosi per la vita e che gli elementi che costituiscono le nubi sono potenzialmente adatti a creare il processo della fotosintesi.

Classificato tra i pianeti terrestri, ossia composti di roccia e metalli, Venere è anche molto simile alla Terra per dimensioni e massa; con queste ultime scoperte, sembra che la sua atmosfera trattenga e assorba l’energia proveniente dal Sole al pari dello strato di ozono che protegge la Terra.

A dispetto delle temperature elevate prodotte dalla vicinanza al Sole e della composizione dell’atmosfera, già una precedente ricerca aveva individuato nella presenza di fosfina un’opportunità di vita. Ora, secondo Mogul e il suo gruppo di ricerca, in ipotetici microrganismi che si nutrono di luce solare, una fotosintesi continua può avvenire all’interno delle nuvole di Venere, di giorno grazie all’energia solare, di notte mediante l’energia termica o infrarossa proveniente dalla superficie e dall’atmosfera.

Sia la radiazione solare sia quella termica all’interno delle nuvole possiedono lunghezze d’onda della luce che possono essere assorbite dai pigmenti fotosintetici esistenti sulla Terra. Per stimare il potenziale fotosintetico notturno dell’energia termica di Venere, sono stati messi a confronto i flussi di fotoni del pianeta con habitat simili presenti sulla Terra; emissioni geotermiche che supportano la fototrofia (capacità di organismi vegetali di ricevere nutrimento dalla luce) sono state individuate a 2400 metri di profondità nell’oceano Pacifico; nel Mar Nero, gli organismi fototrofi presi in esame, si trovano a 120 metri. I risultati hanno mostrato che i flussi di fotoni che provengono dall’atmosfera e dalla superficie di Venere superano i flussi misurati sulla Terra in ambienti fototrofi con scarsa illuminazione. Questo significa che l’energia luminosa di Venere potrebbe fornire ai microrganismi fotosintetici ampie opportunità di diversificarsi tra gli strati delle nuvole.

Il gruppo di ricerca ha inoltre ipotizzato la presenza di bisolfato di ammonio, una forma neutralizzata dell’acido solforico che si ottiene ad alte temperature. La scoperta rivelerebbe una maggiore umidità rispetto a calcoli precedenti e una minore acidità rispetto ai modelli attuali ricavati per Venere.

«Il nostro studio fornisce un supporto tangibile per il potenziale di fototrofia e chemiotrofia da parte di microrganismi nelle nuvole di Venere – ha affermato Mogul – I livelli di acidità rientrano potenzialmente in un intervallo accettabile per la crescita microbica sulla Terra, mentre l’illuminazione costante con UV limitati suggerisce che le nuvole di Venere potrebbero ospitare la vita. Riteniamo che le nuvole rappresentino un ottimo obiettivo per missioni sul rilevamento della vita, come quelle attualmente pianificate per Marte ed Europa».

La prima sonda spaziale che negli anni Novanta ha indagato in modo approfondito Venere è stata Magellano, alla quale dobbiamo anche le migliori fotografie realizzate fino a oggi. E mentre ci godiamo le immagini di BepiColombo e del Solar Orbiter, restiamo in attesa delle nuove missioni annunciate dalla Nasa e dall’Esa: DaVinci+, Veritas previste per la fine di questo decennio ed EnVision nei primi anni del 2030; L’Agenzia Spaziale Italiana contribuirà sia con l’agenzia statunitense che europea con un radar di telerilevamento.

 

Immagine in apertura: foto di Venere elaborata dal radar di Magellano in base all’altimetria. Alcune informazioni sono state integrate dalla sonda Venera e dalle missioni Pioneer Venus.   Credit: NASA/JPL/USGS

Barbara Ranghelli: Giornalista