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Poca acqua su Ryugu

Come era distribuita l’acqua nel sistema solare all’epoca delle sue origini? In che modo essa è stata consegnata alla Terra? Gli scienziati ritengono che in questo processo gli asteroidi possano aver avuto un ruolo determinante. Indagare su questo scenario è uno degli obiettivi della missione giapponese Hayabusa2 che il mese scorso ha recapitato a terra un cospicuo quantitativo di polveri e roccia prelevate sull’asteroide vicino Ryugu. Si ipotizza che oggetti scuri della classe di Ryugu possano contenere minerali e composti organici portatori di acqua. Secondo gli studiosi, asteroidi di questo tipo potrebbero essere i progenitori dei meteoriti scuri, rinvenuti sulla Terra, contenenti acqua e carbonio e noti come condriti carboniose.

Tali meteoriti sono stati studiati in grande dettaglio nei laboratori di tutto il mondo per molti decenni, ma non è possibile determinare con certezza da quale asteroide possa provenire un dato meteorite di condrite carboniosa.

Grazie alla missione Hayabusa2 per la prima volta è stato raccolto un campione della classe degli asteroidi di Ryugu e riportato sulla Terra. In attesa dei primi risultati delle analisi di laboratorio, le osservazioni di Ryugu fatte dalla sonda mentre volava accanto all’asteroide suggeriscono che l’oggetto potrebbe non essere così ricco d’acqua come gli scienziati si aspettavano inizialmente. Ci sono diverse ipotesi su come e quando Ryugu potrebbe aver perso parte della sua acqua.

Uno studio pubblicato su Nature Astronomy – a cui hanno partecipato ricercatori dell’Inaf -suggerisce che l’antico corpo genitore da cui si è formato Ryugu si sia probabilmente prosciugato a seguito di un evento di riscaldamento prima della formazione di Ryugu, il che ha lasciato il corpo celeste più asciutto del previsto.

Ryugu è un cumulo di macerie, un conglomerato sciolto di roccia tenuto insieme dalla gravità. Gli scienziati ritengono che questi asteroidi si formino probabilmente dai detriti lasciati quando gli asteroidi più grandi e più solidi vengono distrutti da un grande evento di impatto. Quindi è possibile che la firma dell’acqua vista su Ryugu oggi sia tutto ciò che rimane di un asteroide genitore precedentemente più ricco di acqua che si è poi prosciugato a causa di un evento di riscaldamento di qualche tipo. Ma potrebbe anche essere che Ryugu si sia ‘asciugato’ dopo una catastrofica distruzione e si sia poi riformato assumendo l’aspetto che conosciamo oggi. È anche possibile che Ryugu abbia effettuato in passato alcune orbite ravvicinate attorno al Sole, il che potrebbe averlo riscaldato, asciugandone la superficie.

La sonda Hayabusa2 aveva a bordo attrezzature che potrebbero aiutare gli scienziati a determinare quale scenario sia più probabile. Durante il suo rendezvous con Ryugu nel 2019, Hayabusa2 ha sparato un piccolo proiettile sulla superficie dell’asteroide. L’impatto ha creato un piccolo cratere e portando alla luce della roccia sepolta nel sottosuolo. Utilizzando uno spettrometro nel vicino infrarosso, in grado di rilevare i minerali che contengono acqua, i ricercatori hanno potuto quindi confrontare il contenuto di acqua della roccia superficiale con quella subsuperficiale.

I dati hanno mostrato che la traccia dell’acqua nel sottosuolo è abbastanza simile a quella presente sulla superficie più esterna. Questa scoperta è più coerente con l’ipotesi che il corpo genitore di Ryugu fosse già ‘asciutto’, rispetto allo scenario in cui la superficie di Ryugu sia stata asciugata dal Sole.

Tuttavia – dicono i ricercatori – sono necessari ulteriori studi per confermare la scoperta. Ad esempio, la dimensione delle particelle scavate dal sottosuolo potrebbe influenzare l’interpretazione delle misurazioni dello spettrometro.

Le indagini di laboratorio effettuate direttamente sui campioni prelevati potranno certamente fornire informazioni utili a ricostruire la storia di Ryugu e il legame di asteroidi di questo tipo con i meteoriti rinvenuti sulla Terra.

Manuela Proietti: Giornalista, photo- e videographer. Dal 2009 coordina i progetti editoriali dell'Agenzia spaziale italiana. Ha lavorato per l'Agenzia Dire e scritto per La Stampa