Ricordate la storica rilevazione di onde gravitazionali generate dalla fusione di due stelle di neutroni? Ebbene, oggi, a due anni da quell’osservazione, un team internazionale guidato dalla Northwestern University è riuscito a realizzare l’istantanea dell’ultimo atto dell’evento cosmico. Le immagini – in via di pubblicazione – ricostruiscono minuziosamente il bagliore residuo successivo all’esplosione, in gergo detto afterglow, prodotto finale del fatale incontro tra le due stelle.

Non solo le immagini risultanti sono le più profonde mai catturate fino ad oggi di un afterglow generato dalla collisione di stelle di neutroni, ma rivelano anche segreti sulle origini della fusione, sul getto che essa ha creato e sulla natura delle esplosioni di lampi gamma di breve durata.

Molti scienziati considerano la fusione di stelle di neutroni del 2017, soprannominata GW170817, la scoperta più importante di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) realizzata fino ad oggi. Era la prima volta che gli astrofisici catturavano due stelle di neutroni in collisione. La fusione, rilevata sia nelle onde gravitazionali che nella luce elettromagnetica, è stata anche la prima osservazione multi-messaggero contemporanea di queste due forme di radiazione.

Quando le due stelle si sono scontrate hanno generato una kilonova, un’esplosione, risultante dalla formazione di elementi pesanti dopo la fusione, mille volte più luminosa di una nova classica.

«Per vedere il bagliore successivo, la kilonova doveva uscire di scena», ha detto Fong. «Circa 100 giorni dopo la fusione, quando la kilonova era ormai sbiadita e lasciava vedere il bagliore secondario, abbiamo iniziato le osservazioni. Ma essendo il bagliore molto debole avevamo bisogno di un telescopio molto sensibile».

Ed ecco entrare in gioco Hubble. A partire da dicembre 2017, il telescopio spaziale della Nasa ha iniziato a osservare l’emissione di luce visibile generata della fusione, rivisitando la stessa porzione di cielo per 10 volte nel corso di un anno e mezzo.

Alla fine di marzo 2019, il team di Fong ha realizzato con Hubble un’ultima immagine, profonda e dettagliatissima, frutto di un’esposizione durata sette ore e mezza, la quale ha mostrato – 584 giorni dopo la fusione – che la luce visibile emanata dallo scontro era ormai svanita. Successivamente, il team di Fong doveva rimuovere la luminosità della galassia circostante, al fine di isolare il bagliore estremamente debole dell’evento.

«Per misurare con precisione la luce del bagliore residuo, occorre sottrarre tutta l’altra luce», ha detto Peter Blanchard, secondo autore dello studio. Fong, Blanchard e i loro collaboratori hanno sovrapposto l’immagine finale ai dieci scatti in cui era presente il bagliore. Quindi, usando un algoritmo, hanno sottratto meticolosamente – pixel per pixel – tutta la luce dall’ultima istantanea scattata da Hubble – priva di residui luminosi derivati dallo scontro – dalle precedenti immagini che mostravano l’afterglow.

Il risultato è una serie temporale di immagini che mostrano il debole bagliore finale senza contaminazione della luce dalla galassia di sfondo. Completamente allineata con le previsioni del modello, è la serie temporale di imaging più accurata del bagliore di luce visibile GW170817 prodotto fino ad oggi.

Stando alle nuove immagini, Fong ritiene che anche le esplosioni cosmiche distanti, note come lampi di raggi gamma di breve durata (short gamma-ray bursts,) siano in realtà fusioni di stelle di neutroni, solo viste da un angolo diverso. Entrambi producono getti relativistici che trasportano materiale che viaggia vicino alla velocità della luce. Gli astrofisici, in genere, osservano getti dalle esplosioni di raggi gamma da una prospettiva frontale.  GW170817, invece, è stato visto da un angolo di 30 gradi, un’operazione mai fatta prima nella lunghezza d’onda ottica.

«Con GW170817 per la prima volta riusciamo a vedere il jet “fuori asse”», ha affermato Fong.«La nuova serie temporale indica che la principale differenza tra GW170817 e i brevi lampi di raggi gamma distanti è l’angolo di visione».

Lo studio sarà pubblicato questo mese in The Astrophysical Journal Letters.