È tenue, è costituita soprattutto da azoto e da piccole quantità di metano e monossido di carbonio e sta cominciando a eclissarsi: si tratta dell’atmosfera di Plutone, il corpo celeste che per 76 anni è stato considerato il nono pianeta del Sistema Solare, al centro di uno studio curato dal Southwest Research Institute. La ricerca, che è stata presentata ieri al 53° convegno della Divisione di Scienze Planetarie dell’American Astronomical Society, si basa sui dati di un evento di occultazione verificatosi nel 2018 e su quelli della sonda New Horizons della Nasa. Gli studiosi, mettendo a confronto le due serie di informazioni, hanno notato che l’atmosfera di Plutone, man mano che il pianeta si allontana dal Sole, ha iniziato a congelarsi sulla sua superficie.
L’evento di occultazione – ovvero quando il pianeta nano è passato di fronte ad una stella distante – si è verificato nella notte del 15 agosto 2018 ed è durato solo due minuti: il poco tempo è comunque bastato agli astronomi per riuscire a determinare il profilo della densità dell’atmosfera. Il team del Southwest, infatti, non si è fatto trovare impreparato e aveva precedentemente schierato una squadra di telescopi tra Stati Uniti e Messico, proprio per cogliere il momento in cui l’atmosfera di Plutone sarebbe stata retroilluminata dalla stella.
Non è la prima volta che un’occultazione viene utilizzata per questo tipo di rilevazioni: i cambiamenti nell’atmosfera dell’ex nono pianeta sono stati monitorati in base a questo fenomeno sin dal 1988. I dati ottenuti ad agosto 2018 sono stati confrontati con quelli del fly by di New Horizons, avvenuto nel 2015; il sorvolo, infatti, aveva consentito di tracciare un ottimo profilo della densità atmosferica, coerente con la tendenza al raddoppiamento del suo volume ogni dieci anni. Le informazioni raccolte nel 2018, invece, evidenziano una battuta d’arresto di questo trend.
Numerosi telescopi, tra quelli messi in campo per l’occultazione, hanno osservato un fenomeno chiamato ‘lampo centrale’, provocato dall’atmosfera di Plutone mentre rifletteva la luce in un’area proprio al centro dell’ombra. Il flash del 2018 è stato il più intenso mai osservato prima in un’occultazione di questo genere e ha fornito agli esperti dati molto interessanti. L’atmosfera di Plutone, infatti, è sostenuta dalla pressione dei vapori della sua superficie ghiacciata: quindi, anche i cambiamenti più piccoli nelle temperature di queste coltri glaciali possono influenzare in maniera rilevante la densità atmosferica; va ricordato che il pianeta nano impiega 248 anni per completare un’orbita intorno al Sole e che la sua distanza da esso può variare tra 30 e 50 unità astronomiche.
Negli ultimi 25 anni, il corpo celeste si è allontanato dalla nostra stella e ha ricevuto un minore irraggiamento; tuttavia, fino al 2018 la sua densità atmosferica e la pressione di superficie hanno continuato a crescere, probabilmente per un fenomeno di inerzia termica. Secondo i ricercatori, tale processo andrebbe attribuito alle riserve di ghiaccio azotato presenti sul ‘volto’ del pianeta, la cui temperatura non si è abbassata a causa del calore mantenutosi al di sotto di esse; la maggiore di queste riserve è la Sputnik Planitia, un ghiacciaio scintillante che costituisce l’area ovest della Tombaugh Regio.
I nuovi dati mostrano chiaramente un raffreddamento e risultano utili anche per approfondire le caratteristiche degli strati sub-superficiali di Plutone, soprattutto per quanto riguarda il trasferimento di calore.
In alto: l’atmosfera di Plutone vista da New Horizons (Crediti: Nasa/Jhu-Apl/SwRi)