La nostra stella, si sa, è un oggetto piuttosto turbolento. Come tutti gli altri astri di dimensioni simili, il Sole ospita continue esplosioni sulla sua superficie, ed emette potenti folate di vento solare. L’impatto di questi fenomeni arriva fino al nostro pianeta. Se non ci fosse il campo magnetico terrestre a proteggerci, il flusso di particelle cariche proveniente dalla nostra stella costituirebbe un bombardamento letale.
Per comprendere meglio l’interazione tra la magnetosfera e le particelle solari, da quattro anni la missione Magnetospheric Multiscale (Mms) della Nasa è in orbita intorno alla Terra. Ora la sonda è riuscita a portare a casa la prima misura di uno dei processi solari più difficili da immortalare: il cosiddetto shock interplanetario. Si tratta di una potente ondata di particelle e onde elettromagnetiche provenienti dal Sole, provocata da un urto senza collisione. In questo tipo di urti, le particelle trasferiscono energia attraverso campi elettromagnetici, e non scontrandosi direttamente. Fenomeni simili sono piuttosto frequenti nel cosmo e si possono verificare nelle supernove, nei buchi neri e nelle stelle distanti.
Eppure gli shock interplanetari attorno al nostro pianeta non erano mai stati registrati prima, perché per misurarli occorre essere al posto giusto al momento giusto. Esattamente ciò che è successo a Mms: l’8 gennaio 2018 la sonda Nasa si trovava in un punto propizio per effettuare la rara misura, grazie al Fast Plasma Investigation installato a bordo. Questo strumento è in grado di rilevare gli ioni e gli elettroni attorno alla navicella fino a 6 volte al secondo. Una caratteristica cruciale per immortalare lo shock interplanetario, dal momento che la sua onda può attraversare lo spazio impiegando soltanto mezzo secondo. E infatti Mms è riuscita a registrare un ammasso di ioni proveniente dal vento solare, che poco dopo veniva spazzato via da un secondo ammasso di ioni: fenomeno dovuto al fulmineo passaggio dello shock interplanetario.
I risultati, elaborati per oltre un anno da un team di ricerca coordinato dalla Johns Hopkins University, sono stati recentemente pubblicati su Journal of Geophysical Research. Dopo aver immortalato il primo shock interplanetario, il team di Mms spera di potere rilevare altri fenomeni simili, ma più deboli: eventi altrettanto rari, e forse ancora meno conosciuti.
Il passaggio dello shock interplanetario. I colori più caldi indicano un numero maggiore di ioni. Crediti: Ian Cohen, Johns Hopkins University