Si muovono all’altezza dell’equatore, in diverse direzioni e con velocità estreme: sono i venti che infuriano sui pianeti del Sistema Solare esterno, recentemente analizzati con un nuovo modello informatico mirato a spiegarne i meccanismi. Il modello è stato illustrato in un recente studio, coordinato dall’Università di Leida e dallo Sron (Space Research Organization Netherlands) e pubblicato su Science Advances.
La circolazione su Giove, Saturno, Urano e Nettuno è da decenni al centro dell’attenzione degli studiosi, soprattutto perché non avviene nella stessa direzione: sui primi due pianeti le correnti circolano verso est, mentre sugli altri due spirano verso ovest. Un ruolo di primo piano nel movimento di queste correnti è svolto dai processi di convezione che avvengono nell’atmosfera di questi colossi; gli studiosi hanno notato, inoltre, che le differenze nella profondità atmosferica possono produrre i venti nelle due diverse direzioni.
Nello specifico, il sistema mostra una sorta di biforcazione: pur trovandosi nelle stesse condizioni, l’atmosfera si può stabilizzare in uno dei due sensi, stabilendo un collegamento diretto tra la direzione del getto e la profondità atmosferica. Le correnti, inoltre, potrebbero essere influenzate da alcune caratteristiche che accomunano i quattro pianeti: ricevono poca luce solare, la loro fonte di riscaldamento interno è modesta e sono soggetti a una rapida rotazione.
Gli autori del saggio hanno scoperto che le celle convettive, che ruotano rapidamente all’altezza dell’equatore dei pianeti, possono comportarsi come una sorta di nastro trasportatore sulla loro superficie: questo meccanismo conduce le correnti a getto sia verso ovest che verso est. Secondo, gli studiosi, quindi, il processo principale alla base di questi venti, che raggiungono anche i 2000 chilometri orari, è appunto la convezione.
La comprensione di questo fenomeno – spiegano i ricercatori – è di grande importanza perché aiuta ad approfondire i meccanismi sottesi alle atmosfere planetarie, sia nel Sistema Solare, sia sugli esopianeti. «Siamo entusiasti – ha dichiarato Keren Duer-Milner, ricercatrice presso Sron e Università di Leida e prima autrice dello studio – perché finalmente abbiamo trovato una soluzione semplice ed elegante a un fenomeno complesso».
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In alto: i pianeti del Sistema Solare esterno visti da Hubble [Crediti: Nasa, Esa, A. Simon (Goddard Space Flight Center), M.H. Wong (University of California, Berkeley) e Opal team]
In basso: la circolazione delle correnti descritta nello studio (Crediti: Keren Duer-Milner)