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L’acqua della Luna si forma grazie al vento solare?

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L’origine dei depositi di ghiaccio presenti sulla Luna, soprattutto quelli all’interno dei crateri polari, è ancora incerta. In generale, si pensa che l’acqua lunare provenga dalle comete o altri corpi celesti caduti in miliardi di anni, ma da decenni si sospetta anche una sorta di ‘produzione locale’ frutto di processi chimici innescati dal vento solare. Quest’ultima ipotesi ha recentemente avuto una conferma sperimentale nei laboratori della Nasa, grazie a un team di ricercatori guidati dall’esperta in scienze planetarie Li Hsia Yeo. I risultati sono stati esposti in dettaglio sulla rivista Journal of Geophysical Research (Jgr).

La presenza di acqua sulla Luna, un corpo celeste all’apparenza completamente arido, venne inizialmente ipotizzata dai ricercatori del Caltech nel 1961. Le tracce d’acqua trovate nei campioni di rocce riportati sulla Terra dalle missioni Apollo sembravano inizialmente validare i loro sospetti, ma poi vennero erroneamente considerate una contaminazione terrestre e quindi ignorate.
Nel 1994 i dati della sonda Nasa Clementine suggerivano l’esistenza di ghiaccio nelle zone lunari mai esposte al Sole. Quattro anni dopo, la missione Lunar Prospector scopriva delle grandi concentrazioni d’idrogeno in quelle stesse zone buie, un indizio che per  molti rappresentava già una certezza.
La prima conferma ufficiale dell’acqua sulla Luna arriva nel 2008, grazie allo strumento di rilevazione Moon Minearology Mapper della Nasa, montato sulla sonda indiana Chandrayaan-1. L’acqua sulla Luna è quindi una realtà accertata, ma la sua origine resta ancora ignota.

La mappa della Luna generata dai dati raccolti dallo strumento Moon Mineralogy Mapper della Nasa. Le zone colorate in blu mostrano le zone dove è presente l’acqua. Crediti: Isro/Nasa/Jpl-Caltech/Brown Univ./Usgs

L’idea che ci potesse essere un legame tra l’azione del vento solare e la formazione di acqua sul nostro satellite risale anch’essa agli anni ’60. Il vento solare è un flusso di particelle cariche, per lo più protoni di atomi di idrogeno, emesso continuamente dal Sole. Questo sciame ha varia intensità e viaggia a oltre un milione e mezzo di chilometri l’ora, permeando l’intero Sistema Solare. Le sue particelle energetiche vaganti colpiscono senza sosta i corpi celesti, gli unici a non subirne le conseguenze sono quelli dotati di un campo magnetico corposo, che riesce a fare da scudo deviandole.
La Luna però non possiede un campo magnetico che la protegge, per cui i protoni riescono a colpire con grande energia il suolo ricoperto di regolite, strappandogli elettroni che vanno a ricostituire gli atomi d’idrogeno.
Questi iniziano a spargersi sulla superficie, legandosi agli atomi di ossigeno presenti in minerali come il silicio per formare nuove molecole ossidriliche e acqua.
Tracce di questi composti chimici sono state effettivamente trovate negli strati superficiali del suolo lunare, a pochi millimetri di profondità, ma non è facile distinguere quelle ossidriliche dall’acqua.
Non sappiamo ancora quanta acqua sulla Luna si possa essere formata in conseguenza a questo processo. Secondo i dati delle sonde robotiche si tratterebbe della condizione più comune, seguita dalle reazioni chimiche innescate dal calore sprigionato dagli impatti dei micrometeoriti.

Per dimostrare la validità di questa teoria, che implica un ruolo fondamentale del vento solare, il team di scienziati ha esaminato alcuni campioni raccolti durante la missione Apollo 17 del 1972.
Prima di tutto li hanno esposti al calore, con il fine di rimuovere ogni eventuale molecola d’acqua assorbita dall’umidità presente nello space-sample curation facility della Nasa, dove sono generalmente conservati. Successivamente, sono stati sistemati dentro un piccolo acceleratore di particelle e bombardati con un vento solare ricreato artificialmente. Questo processo ha simulato in pochi giorni un periodo di ottantamila anni sulla Luna, poi si sono andati ad analizzare i risultati utilizzando uno spettrometro. Con questo hanno misurato quanta luce riflettevano le molecole di polvere trattate, per capire in che misura c’erano stati cambiamenti.
Le linee spettrali mostravano un riflesso attenuato di circa tre micron nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico, proprio la stessa in cui l’acqua assorbe tipicamente energia.
Sebbene il gruppo di studiosi non abbia quindi trovato materialmente acqua prodotta in seguito all’esperimento, le curve dei grafici nei risultati delle analisi mostrano che molecole d’acqua e ossidrili devono essersi formate nei campioni lunari utilizzati durante il processo e che, molto probabilmente, lo stesso accade sul nostro satellite.

Immagine in alto: Mappa del polo sud lunare con i potenziali depositi di ghiaccio d’acqua evidenziati in blu.  La ricostruzione si basa sui dati raccolti dal Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa
Crediti: Nasa

Gianluca Liorni: Ingegnere, astrofilo e divulgatore scientifico. Sono appassionato di Scienze e Tecnologie, che seguo da decenni, con particolare predilezione per l'astrofisica, la cosmologia e l'esplorazione spaziale