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Carrying the Fire. Il mio viaggio verso la Luna

di Paolo D’Angelo

Viene da tutti considerata la miglior autobiografia mai scritta da un astronauta. Se l’autore poi ha partecipato alla storica missione Apollo 11, quella che portò nel luglio del 1969 i primi uomini a camminare sul suolo selenico, il libro è da considerarsi davvero un cult. Esce finalmente in italiano per l’editrice Cartabianca, “Carrying the Fire” il libro scritto nel 1974 da Michael Collins astronauta della NASA famoso nel nostro Paese, oltre che per aver viaggiato verso la Luna con la missione Apollo 11, per essere nato a Roma nell’ottobre del 1930 quando suo padre era addetto militare presso l’Ambasciata americana.

In questa sua opera prima Collins racconta, in maniera ironica e molto spesso divertente, la sua vita avventurosa vissuta indossando dapprima la divisa di ufficiale dell’Aviazione militare americana come pilota collaudatore per poi passare alla tuta spaziale per le missioni Gemini X e Apollo 11, arrivando infine agli abiti civili dapprima come Assistente del Segretario di Stato per gli Affari Pubblici e infine come primo direttore del famoso Museo dell’Aria e dello Spazio di Washington. Selezionato dalla NASA nell’ottobre del 1963 Mike Collins si è trovato a diventare astronauta negli anni d’oro dello spazio ossia quando era in pieno svolgimento la “guerra fredda” contro l’Unione Sovietica per la conquista della Luna ed ogni missione, sia sovietica che americana, aveva un alto rischio di fallimento. Piena di curiosità la parte del libro dedicata alla prima missione, la Gemini X, quando Collins racconta le difficoltà della sua attività extraveicolare ossia la “passeggiata” al di fuori della capsula e del profondo rammarico per aver perso la macchina fotografica con un obiettivo da 70 mm con la quale aveva immortalato la sua faticosa impresa.

Profonde anche le riflessioni personali che l’astronauta fa quando i suoi due compagni di Apollo 11 Neil Armstrong e Edwin (divenuto poi Buzz in un secondo momento) Aldrin si sganciano dal modulo di comando Columbia per dirigersi verso la Luna a bordo del modulo lunare Aquila. Nelle sue frasi c’è l’angoscia provata nel volare intorno alla Luna non per la solitudine che avrebbe incontrato ma per la paura di dover tornare solo verso la Terra qualora fosse successo qualcosa ai suoi due colleghi. Fortunatamente tutto andò secondo i piani previsti ed una volta ammarati nell’Oceano Pacifico e recuperati dalla portaerei Hornet, l’astronauta tornò nella capsula mezza bruciacchiata per ispezionarla e una volta dentro scrisse su una parete del vano apparati inferiore proprio sotto la montatura del sestante: “Veicolo spaziale 107, alias Apollo 11, alias Columbia.

La nave migliore della serie. Dio la benedica. Michael Collins CMP” dove CMP sta per Command Module Pilot. Quasi una forma di gratitudine verso una capsula spaziale che per otto giorni l’aveva portato lontano, fin oltre la Luna, ospitandolo insieme ai suoi pensieri e alle sue riflessioni. Un corposo volume di quasi 500 pagine suddiviso in 14 capitoli che si leggono con passione e dove traspare un lavoro di traduzione molto complesso e certosino considerando che la casa editrice americana nel concedere l’autorizzazione, ha imposto che il libro in italiano fosse il più fedele possibile alla versione originale per non far perdere il profondo significato personale che l’autore ha dato alla sua scrittura. Un testo immancabile negli scaffali di chi si considera appassionato della conquista dello spazio perché si tratta di una diretta testimonianza che arriva da colui che la Storia, non solo l’ha vissuta, ma soprattutto l’ha realizzata in prima persona.

Crediti foto: Nasa

Paolo D'Angelo: