X

Uomo contro radiazione: lotta alla conquista dello spazio

L’atmosfera di Marte immortalata dal Viking 1 Orbiter. Crediti: Nasa.

Pensare che l’uomo, un giorno, possa muoversi o addirittura risiedere in ambienti extraterrestri non è semplice fantasia. Per far sì che diventi realtà, però, bisogna garantire agli esseri umani un’adeguata protezione da un ambiente non proprio adatto alla loro sopravvivenza. Il nemico numero uno dell’uomo nello spazio è indubbio: si tratta della radiazione, particelle cariche ad alta energia in grado di arrecare danni tanto all’organismo umano quanto ai dispositivi utilizzati, per esempio, nelle missioni spaziali. La radiazione spaziale è costituita da particelle intrappolate dal campo magnetico terrestre, in regioni note come fasce di Van Allen, da particelle provenienti dal Sole e da altre di origine galattica o extragalattica, i cosiddetti raggi cosmici.

Quando un fascio di particelle altamente energetiche colpisce un tessuto umano, alcuni dei suoi atomi assorbono una grande quantità di energia. Questo genera una reazione a catena i cui prodotti sono responsabili dei danni della radiazione all’organismo umano. Tra gli effetti collegati all’esposizione alla radiazione da parte dell’uomo, acuta o prolungata, si registrano rispettivamente l’insorgenza della cataratta e lo sviluppo di neoplasie.

Come anticipato, nemmeno i dispositivi elettronici sono immuni alle conseguenze della radiazione. L’interazione con particelle cariche ad alta energia induce segnali temporanei e correnti parassite all’interno degli hardware, provocando errori di memoria o il malfunzionamento di sensori. Inoltre, materiali isolanti e componenti metalliche non messe a terra potrebbero accumulare carica elettrica, con conseguenti scariche in grado di causare interferenza.

Stabilire la qualità e l’intensità della radiazione nello spazio costituisce a tutti gli effetti una forma di monitoraggio dello space weather. Sulla Terra, i rischi collegati alla radiazione sono mitigati dall’atmosfera e dal campo geomagnetico, che costituiscono uno scudo efficace contro di essa. Diverso è il caso di un ipotetico viaggio dalla Terra a Marte, per la programmazione del quale dovrebbero essere valutati diversi aspetti, come il flusso di particelle energetiche solari, getti sporadici di particelle provenienti dal Sole che possiedono un’energia molto più alta di quelle tipicamente presenti nell’atmosfera solare. Se uno di questi eventi colpisse un veicolo spaziale, potrebbe provocare seri danni ai dispositivi elettronici a bordo, nonché mettere a repentaglio la vita dell’equipaggio.

La radiazione si profila, inoltre, come un ostacolo al terraforming, l’insieme di processi volti a rendere un pianeta abitabile dall’essere umano. Il principale candidato per una simile procedura è proprio Marte, che però è estremamente vulnerabile alla radiazione proveniente dallo spazio. Il pianeta rosso, infatti, non possiede un campo magnetico in grado di deviare le particelle cariche in arrivo, e questo fa sì che il vento solare ne abbia lentamente eroso l’atmosfera, che oggi possiede uno spessore cento volte inferiore rispetto a quella terrestre. Per vivere su Marte, o anche solo per esplorarlo, l’uomo necessiterebbe di un sistema di protezione all’avanguardia. Lo sviluppo di una simile tecnologia richiede innanzitutto di determinare le caratteristiche della radiazione che si registra sulla superficie del pianeta. Di grande aiuto è, in questo senso, il rover Curiosity della Nasa, il quale raccoglie informazioni riguardo alla radiazione cosmica e alle particelle energetiche solari che arrivano sulla superficie di Marte.

Sezione del Radiation Assessment Detector, lo strumento a bordo di Curiosity adibito al rilevamento di raggi cosmici galattici e particelle energetiche solari che attraversano l’atmosfera di Marte. Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI

La presenza della radiazione nello spazio è una delle tante motivazioni per le quali la nostra esistenza, per il momento, è un’esclusiva della Terra. È però sorprendente il fatto che, indagando gli ambienti extraterrestri, possiamo escogitare un modo per spingerci anche laddove senza tecnologie non avremmo modo di arrivare.

Immagine in evidenza: L’atmosfera di Marte immortalata dal Viking 1 Orbiter. Crediti: Nasa.

Luca Mingotti Landriani: Laureato in Fisica all'Università di Trento e attualmente studente del Master in Comunicazione della Scienza della SISSA di Trieste, collabora con l'Agenzia Spaziale Italiana dal 2022, per la quale scrive di astrofisica e spazio.