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Buchi neri, una nuova tecnica di osservazione

Tre anni fa, la prima immagine di un buco nero è stata diffusa al pubblico. L’iconica immagine dell’oggetto al centro della galassia Messier 87 è stata messa a fuoco grazie all’Event Horizon Telescope, una rete globale di antenne radio sincronizzate che funge da gigantesco telescopio. Ora, un team di ricercatori della Columbia University ha ideato una tecnica più semplice che permetterà di osservare i buchi neri in modo più dettagliato. A questa novità sono stati dedicati due studi, pubblicati rispettivamente su Physical Review Letters e Physical Review D.

La tecnica consiste nell’osservare da un’angolazione laterale due buchi neri che stanno per fondersi. Da questo punto di vista, quando un buco nero passa di fronte all’altro, dovrebbe essere visibile un lampo di luce mentre l’anello luminoso del buco nero più lontano viene ingrandito dal buco nero più vicino all’osservatore, un fenomeno noto come lente gravitazionale.

Questo effetto è ben noto e la novità sta nell’aver individuato un calo di luminosità corrispondente all’ombra del buco nero. Questo sottile oscuramento può durare da poche ore a pochi giorni, a seconda della massa dei buchi neri e dall’intreccio delle loro orbite. Se si misura la durata del calo di luminosità è possibile stimare la dimensione e la forma dell’ombra proiettata dall’orizzonte degli eventi del buco nero, il punto dove nulla sfugge, nemmeno la luce.

L’ombra di un buco nero è la sua caratteristica più misteriosa e informativa. Questa macchia oscura ci parla delle dimensioni del buco nero, della forma dello spazio-tempo che lo circonda e di come la materia cada al suo interno vicino all’orizzonte.

I ricercatori si sono interessati all’esplosione di buchi neri dopo aver individuato una sospetta coppia di questi ‘divoratori cosmici’ supermassicci al centro di una galassia lontana nell’universo primordiale. La scoperta è stata effettuata dal satellite Kepler della Nasa, che ha rilevato i bagliori prodotti dalla fusione dei due oggetti. Il team ha chiamato la lontana galassia ‘Spikey’, per  via dei picchi di luminosità innescati dalla presunta presenza dei buchi neri che si ingrandiscono a vicenda a ogni rotazione completa grazie all’effetto lente.

I ricercatori stanno attualmente cercando altri dati tra i set collezionati dal telescopio per cercare di confermare il calo di luminosità e per verificare che Spikey abbia una coppia di buchi neri in fusione al suo interno. Nei prossimi anni, grazie all’avvento di telescopi più potenti come l’Osservatorio Vera Rubin, sarà possibile osservare altri oggetti dalla caratteristiche simili. Inoltre, nuove scoperte sui buchi neri saranno possibili grazie alla missione Lisa della Nasa che verrà lanciata nel 2030.

Immagine: due buchi neri durante il processo di fusione. Crediti: Jordy Devalaar/Columbia University

Fulvia Croci: Giornalista