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Con la Crispr il Dna si aggiusta nello spazio

Da circa un anno, una sigla prima nota solo agli addetti ai lavori è diventata per molti familiare. Stiamo parlando di Crispr/Cas9, la tecnica genetica di taglia-incolla del Dna che è valsa il Nobel per la Chimica 2020 alla biochimica francese Emmanuelle Charpentier e alla chimica americana Jennifer A. Doudna. Queste ‘forbici genetiche’ permettono di modificare il Dna con una precisione senza precedenti, il che ha rivoluzionato il modo di fare ricerca in molti ambiti delle scienze della vita. Moltissime le possibili applicazioni terapeutiche, che negli ultimi mesi hanno coinvolto anche la diagnosi e il trattamento del Covid-19.

Ma la Crispr (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats), come viene spesso abbreviata, non si è fermata ai laboratori terrestri. Grazie al progetto Genes in Space, messo in piedi da Boeing e miniPCR bio e supportato dalla Nasa, questa tecnica genetica all’avanguardia ha anche raggiunto lo spazio. Ed è stata utilizzata per la prima volta con successo sulla Stazione spaziale internazionale, nell’ambito dell’esperimento Gene in Space-6 ideato da un gruppo di studenti sotto la supervisione di Kutay Deniz Atabay del Mit.

Il ‘bisturi molecolare’ si è rivelato efficace anche in microgravità: gli astronauti dell’Expedition 59 sono riusciti a utilizzarlo su cellule di lievito, effettuando delle vere e proprie riparazioni di Dna in orbita. I risultati dello studio, analizzati da un team di microbiologi guidati dal Johnson Space Center della Nasa, confermano la buona riuscita dell’esperimento.

Questi risultati espandono notevolmente la ‘cassetta degli attrezzi’ di biologia molecolare della Iss. Permettendo di studiare in orbita bassa i meccanismi di riparazione ma anche di danneggiamento del Dna. Nello spazio, infatti, il Dna può essere più soggetto a errori di replicazione a causa del bombardamento da parte dei raggi cosmici. Comprendere questi meccanismi genetici è di fondamentale importanza anche per tutelare al meglio la salute degli astronauti in vista delle future missioni di lunga durata verso Luna e Marte.

 

Immagine in apertura: l’astronauta statunitense Christina Koch lavora all’esperimento Gene in Space-6 sulla Iss. Crediti: Nasa

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica