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L’Universo non si espande in modo uniforme

Gli studi sulla costante di Hubble (H0), la misura del tasso di espansione dell’Universo, continuano a tenere viva l’attenzione degli scienziati.  Le migliori stime di H0 si trovano attualmente a circa 70 (km/s) / Mpc, il che significa che l’universo si sta espandendo di 70 chilometri al secondo più rapidamente ogni 3,26 milioni di anni luce. Attualmente esistono due metodi principali per calcolare la costante di Hubble, i cui risultati portano a due valori diversi.

Il primo si basa sul fondo cosmico a microonde,  la radiazione proveniente da ogni direzione del cosmo, emessa nel momento in cui l’Universo, espandendosi, è diventato abbastanza freddo da consentire alla luce di circolare liberamente – circa 370.000 anni dopo il Big Bang. Grazie ai dati di numerosi satelliti sappiamo che esistono zone più calde e altre leggermente più fredde, che corrispondono a zone a densità più o meno alta nell’Universo. Utilizzando i dati della missione Planck e considerando che l’Universo è omogeneo e isotropico, si ottiene un valore della costante di Hubble pari a 67,4 Mpc (chilometri su secondi per megaparsec).

Il secondo metodo si basa sulla misurazione della distanza di oggetti di cui possiamo conoscere la brillantezza, come le supernovae di tipo I.  Questi eventi molto luminosi consentono agli scienziati di misurare la loro distanza in maniera molto accurata, riuscendo così a ricavarne la costante di Hubble,  il cui valore risulta essere pari a 74 Mpc.

Questi due valori hanno continuato a diventare sempre più precisi nel tempo pur rimanendo diversi l’uno dall’altro, scatenando una vera e propria controversia scientifica che si è provato a risolvere proponendo una ‘nuova fisica’.  

Un nuovo studio di ricercatori del Center for Astrophysics – Harvard & Smithsonian ha cercato di fare luce su questa apparente contraddizione.

Diversi cosmologi hanno condotto numerosi test per verificare se l’universo fosse lo stesso in tutte le direzioni. Queste prove hanno incluso l’uso di osservazioni ottiche di stelle esplose e studi a infrarossi sulle galassie. Il team di Harvard ha utilizzato un campione di 313 ammassi galattici di cui 237 osservati dalla missione Nasa Chandra per un totale di 91 giorni e 76 scrutati da Xmm Newton dell’Esa, per 35 giorni.

Successivamente i dati dei due osservatori sono stati combinati con quelli del satellite giappo-americano Asca (Advanced Satellite for Cosmology and Astrophysics) che ha permesso di arrivare a un totale di 842 galassie analizzate.  «Sulla base delle nostre osservazioni sui cluster potremmo aver trovato differenze nella velocità con cui l’Universo si sta espandendo – ha affermato Gerrit Schellenberger, co-autore della ricerca – questo dato andrebbe in contrasto con uno dei presupposti di base più elementari che usiamo oggi in cosmologia».

L’analisi messa in campo dagli studioso di Harvard utilizza una tecnica potente, innovativa e indipendente ovvero la relazione tra la temperatura del gas caldo che pervade un ammasso di galassie e la quantità di raggi X che essa produce, nota come luminosità dei raggi X dell’ammasso. In questo frangente maggiore è la  temperatura del gas in un cluster maggiore è  anche la luminosità dei raggi X. Una volta misurata la temperatura del gas è possibile stimare  anche la luminosità dei raggi X. Questo metodo è indipendente dalle quantità cosmologiche, inclusa la velocità di espansione dell’Universo.

Una volta stimata la luminosità dei raggi X  nei cluster gli scienziati hanno misurato la stessa variabile con un metodo che dipende dalle quantità cosmologiche, che include la velocità di espansione dell’Universo. I risultati hanno rivelato che il cosmo sembra allontanarsi da noi più velocemente in alcune direzioni rispetto ad altre.

Gli scienziati hanno fornito due possibili spiegazioni che coinvolgono entrambe la cosmologia. La prima prevede che i grandi gruppi di galassie potrebbero muoversi insieme ma non a causa dell’espansione cosmica. E’ possibile  – si legge nello studio – che alcuni ammassi vicini vengano spinti nella stessa direzione dalla forza di gravità di altri cluster. Se il movimento è abbastanza rapido potrebbe causare errori nella stima della luminosità dei cluster.

Questa correlazione di spostamenti da l’impressione che possano esserci tassi di espansione diversi che vanno in altrettante direzioni. Effetti simili sono stati riscontrati nelle galassie con distanza inferiore a 850 milioni di anni luce l’una dall’altra, dove l’attrazione gravitazionale reciproca controlla il movimento degli oggetti. Tuttavia gli scienziati hanno ritenuto che l’espansione dell’Universo fosse in grado di dominare il movimento dei cluster su distanze maggiori fino a 5 miliardi di anni luce, ovvero quelle oggetto della ricerca.

Una seconda possibile spiegazione ipotizza che l’Universo non sia lo stesso in tutte le direzioni. In questo caso l’energia oscura – la forza che sembra guidare l’accelerazione dell’espansione del Cosmo – non sarebbe uniforme.  In altre parole i raggi X possono rivelare che l’energia oscura è più forte in alcune parti dell’Universo rispetto ad altre, causando tassi di espansione diversi.

Entrambe le spiegazioni cosmologiche pongono le basi per ricerche future. «Possiamo paragonare questa teoria alla miscelazione non corretta del lievito nel pane che causa una maggiore lievitazione in alcuni punti rispetto ad altri- conclude Thomas Reiprich dell’Università di Bonn – ma sono necessarie più prove per escludere altre spiegazioni per avere una teoria più solida».

Fulvia Croci: Giornalista