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Dall’Antartide allo Spazio, le frontiere della telemedicina

‎Testare dispositivi di telemedicina in ambienti estremi. La medicina di frontiera è l’obiettivo dell’Esa che, in cooperazione con la Direzione Antartica Argentina e con l’argentina Commissione Nazionale delle Attività Spaziali, metterà alla prova Tempus Pro, un apparato di telemedicina, nelle rigide condizioni dell’Antartide. Dalle basi antartiche argentine alle future missioni di esplorazione spaziale, la telemedicina potrà essere utilizzata da astronauti e team medici nello Spazio.

Fredde e sperdute, costruite sulle rocce e a un passo dal Polo Sud, le basi antartiche di Belgrano II e di Carlini sono state ritenute dagli studiosi sufficientemente inospitali per sperimentare le asperità delle missioni lunari e marziane. Per questo, dalla fine del 2019 Victor Demaria-Pesce, del team di medicina spaziale dell’Esa e Daniel Vigo dell’Università Cattolica dell’Argentina hanno dato il via ai test nelle due basi.

‎Il sistema salvavita in Antartide sarà collegato alla rete satellitare Iridium che garantisce una copertura globale con i suoi 66 satelliti. I risultati diagnostici raggiungeranno in tempo reale i medici del Centro Europeo per gli Astronauti dell’Esa a Colonia e del Comando Antartico Congiunto di Buenos Aires. Le simulazioni saranno sei e aiuteranno a valutare il potenziale utilizzo durante le missioni spaziali ma anche i più terrestri scenari di emergenza medica quotidiana.

Tempus Pro è stato già impiegato dall’Esa per gli astronauti e sarà utilizzato di nuovo a febbraio al rientro dell’astronauta Luca Parmitano dalla missione ‎‎Beyond‎ sulla Stazione Spaziale Internazionale. Dotato di geolocalizzazione, il salvavita misura e trasmette parametri vitali come la frequenza cardiaca del paziente, la pressione sanguigna, la frequenza respiratoria e la temperatura.‎ La possibilità di effettuare una valutazione medica inziale e di comunicarla allo specialista in tempo reale è un’esigenza sempre più incalzante con il moltiplicarsi delle occasioni di viaggio nello Spazio. Anche sulla Stazione Spaziale Internazionale gli astronauti hanno dovuto fronteggiare il primo caso di trombosi a bordo, prontamente risolto attraverso un consulto di telemedicina. Il dottor Stephan Moll, della Scuola di Medicina dell’Università americana della Carolina del Nord, specialista esterno alla Nasa, ha curato a distanza un astronauta affetto da trombosi venosa profonda. Nell’emergenza, il sanitario ha prescritto al paziente in microgravità, dall’identità non resa nota, un fluidificante per 40 giorni, in attesa della navicella con i rifornimenti di farmaci più appropriati.

Manuela Di Dio: