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Ai buchi neri piacciono le meduse

Un'immagine di una galassia medusa

di Marco Malaspina

Hanno preso in esame 94 “galassie medusa”, ovvero galassie che – trainate dalla gravità verso il centro di grandi ammassi – si lasciano alle spalle lunghi tentacoli di gas ionizzato, assumendo così il tipico aspetto, appunto, d’una medusa.

Fra queste hanno scelto le 7 dai tentacoli più lunghi: lunghi almeno quanto il diametro del disco stellare della galassia stessa. E le hanno osservate con lo spettrografo MUSE, montato sul Very Large Telescope dell’ESO, lo European Southern Observatory, a Paranal, in Cile. Ebbene, è emerso che 6 su 7 ospitano nel loro cuore un cosiddetto AGN, un nucleo galattico attivo: un buco nero supermassiccio che riluce nutrendosi del gas circostante.

Il risultato, pubblicato su Nature, è sorprendente. Di solito, le galassie che ospitano al loro interno un nucleo attivo sono, in media, meno di 1 su 10. Incontrarne 6 su 7 – dunque una percentuale molto elevata – proprio in questo campione di galassie medusa dai lunghi tentacoli è esattamente l’opposto di quel che ci si attenderebbe: lo stesso meccanismo che produce i tentacoli, quella sorta di vento contrario – detto ram pressure – caldo e denso, prodotto dal rapido avvicinamento al centro dell’ammasso di galassie, dovrebbe infatti sottrarre gas alla “galassia medusa”, togliendo così nutrimento al buco nero centrale e diminuendo di conseguenza l’attività dell’AGN. Ma ciò che si osserva è piuttosto il contrario: un incremento della sua attività.

«Questo collegamento fra l’azione esercitata dalla ram pressure e i nuclei attivi non era previsto dalle simulazioni e non è mai stato osservato prima», spiega la prima autrice dello studio, Bianca Poggianti, dirigente di ricerca all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Padova. «È come se parte del gas, invece d’essere sottratto alla galassia, finisse per raggiungerne il nucleo, contribuendo così a nutrire il buco nero centrale».

Ciò che questo risultato evidenzia è dunque un meccanismo fino a oggi sconosciuto di alimentazione dei buchi neri supermassicci. Un meccanismo che potrebbe contribuire a dare risposta a un problema annoso: perché, fra i buchi neri supermassicci presenti nel cuore di quasi tutte le galassie, sono pochi quelli attivi, quelli in grado di accrescere attorno a sé materia e splendere luminosi?

«La nostra indagine, una volta completata, mostrerà quante e quali galassie, fra quelle ricche di gas che precipitano verso il centro degli ammassi, attraversano una fase di maggiore attività nei loro nuclei», conclude Poggianti. «Un enigma attorno al quale gli astrofisici si arrovellano da tempo è proprio quello di capire come le galassie si formino, e si trasformino, nel nostro universo in continua espansione ed evoluzione. Le “galassie medusa”, essendo galassie colte proprio all’apice d’un cambiamento drammatico, offrono un’opportunità unica per comprendere i processi d’evoluzione galattica».

L’articolo su Nature

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