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Microgravità: come si comportano le ossa nello spazio

Paolo Nespoli durante una fase dell'esperimento MARROW

@csa_asc, mi togli il respiro…Ma sono contento di poterti aiutare nell’esperimento MARROW!”

Con queste parole ieri l’astronauta italiano Paolo Nespoli si è rivolto scherzosamente su Twitter all’Agenzia Spaziale Canadese, responsabile dell’esperimento sullo studio del midollo osseo in condizioni di microgravità.

E in effetti le prove a cui si deve sottoporre Nespoli – che come i suoi colleghi è talvolta una vera e propria cavia nello spazio – sono tutt’altro che banali.

L’esperimento canadese MARROW punta a esplorare i cambiamenti che avvengono nel nostro sangue in missioni di lunga durata, in particolare nei globuli rossi e nei globuli bianchi: una condizione che, secondo gli scienziati, potrebbe influire sul corretto funzionamento del midollo osseo.

Il midollo, tessuto molle che occupa i canali delle ossa lunghe e la fascia centrale delle ossa piatte, oltre ai globuli bianchi e rossi contiene anche numerose cellule che producono grasso. L’ipotesi è che, in caso di prolungata esposizione a zero G, le cellule di grasso si accumulino nel midollo a discapito delle cellule del sangue, causando così la cosiddetta ‘anemia spaziale’.

Lo studio MARROW sul midollo osseo si inserisce nel più ampio filone che punta a comprendere cosa accade allo scheletro degli astronauti in condizioni di microgravità, anche in vista di una migliore comprensione delle principali malattie ossee qui sulla Terra.

Dopo un certo tempo in assenza di gravità, infatti, il nostro corpo inizia lentamente a ‘smantellare’ lo scheletro, come se non ne avesse più bisogno.

E mentre Nespoli testa sulla sua pelle questa teoria, un nuovo studio arriva a confermare l’effetto dello spazio sulla struttura ossea umana. La ricerca, coordinata dall’Università del Missouri e pubblicata su Aerospace Medicine and Human Performance, afferma in particolare che la microgravità potrebbe inibire la formazione della cartilagine.

“Il tessuto cartilagineo – spiega Elizabeth Loboa, leader dello studio – non si rigenera da solo in caso di rottura, e per questo molte applicazioni di ingegneria medica utilizzano bioreattori per favorire la ricostruzione dei tessuti. Il nostro studio mostra che la microgravità è in grado di inibire questo processo di ricostruzione della cartilagine.”

Dal punto di vista scheletrico, l’esperienza nello spazio si avvicina a quella dei pazienti paralizzati o costretti a un riposo prolungato: nel loro caso, così come in quello degli astronauti, la rigenerazione della cartilagine potrebbe quindi essere complicata.

 

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica