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Radiazioni spaziali? Un aiuto dalla matematica

Fuori dal bozzolo protettivo dell’atmosfera terrestre esiste un universo pieno di radiazioni. Avventurandosi nello spazio profondo questo tipo di energia si trova in forme molto diverse da quelle che possiamo incontrare sul nostro pianeta. Le radiazioni cosmiche sono composte da atomi i cui elettroni sono stati letteralmente spogliati: lo spazio interstellare provoca infatti un’accelerazione delle particelle quasi a sfiorare la velocità della luce, e questa “corsa folle” nell’universo fa perdere agli elettroni tutto il loro rivestimento, finché non resta soltanto il nucleo.

Ecco che i raggi cosmici possono essere veri e propri proiettili invisibili per i veicoli in viaggio attraverso lo spazio: un problema che la Nasa e le altre agenzie spaziali tengono in seria considerazione, soprattutto in vista delle future missioni umane su Marte. Studi recenti hanno infatti dimostrato che l’esposizione prolungata alle radiazioni cosmiche può aumentare il rischio di tumori e danneggiare il sistema nervoso centrale e le funzioni cognitive.

Per questo sono in corso continue attività di ricerca per capire esattamente cosa può accadere agli astronauti al di sopra dell’orbita terrestre. Il laboratorio migliore al momento è la Stazione spaziale internazionale, che però essendo in orbita bassa è ancora protetta dal campo magnetico del nostro pianeta. Già qui gli astronauti sono esposti a radiazioni 10 volte maggiori rispetto a quanto accade sulla Terra, ma tale dose è comunque sensibilmente inferiore rispetto a quella che dovrebbero affrontare i primi equipaggi in viaggio attraverso spazio profondo.

Per proteggere gli astronauti nel famigerato deep space, le agenzie spaziali stanno investendo in parallelo su esperimenti in laboratorio e su nuove tecnologie da applicare direttamente ai veicoli spaziali. Le future navicelle dovranno infatti essere dotate di scudi protettivi altamente sofisticati, in modo da poter deviare le radiazioni cosmiche.

Negli ultimi anni, tuttavia, a questo approccio tecnologico-sperimentale se ne è aggiunto un altro più teorico: stanno infatti lavorando al problema dei raggi nello spazio profondo non solo biologi e ingegneri, ma anche fisici e matematici. L’idea è quella di costruire modelli teorici sempre più precisi, in grado di spiegare gli effetti delle radiazioni sui veicoli costruiti dall’uomo e aiutare a prevenire i rischi. È il caso di un nuovo studio condotto dall’Università di Lobachevsky in Russia e pubblicato su Semiconductors, che ha messo a punto un modello matematico per analizzare l’effetto di un particolare tipo di radiazioni, quelle ionizzanti, sulle componenti elettroniche di dispositivi destinati a operare nelle condizioni estreme dello spazio profondo.

Le radiazioni ionizzanti, spiegano gli autori, sono le più pericolose, perché sono formate da particelle talmente cariche da riuscire a rimuovere completamente un elettrone – o ciò che resta di esso – dalla sua orbita: in questo modo viene creato un campo energetico molto più forte.

Sono proprio questi i raggi in grado di mandare in tilt le componenti elettroniche dei veicoli spaziali; ma secondo il nuovo studio, una mano potrebbe arrivare appunto dalla matematica.

Il modello teorico sviluppato dai ricercatori russi propone una serie di equazioni per spiegare e ridurre l’impatto delle radiazioni ionizzanti. “Abbiamo tenuto in considerazione la velocità delle particelle cariche – spiega Alexander Puzanov, leader dello studio – che è necessaria per calcolare il flusso che attraversa strutture semi-conduttrici esposte alle radiazioni altamente energetiche dello spazio profondo.” Ecco dunque che l’approccio teorico può affiancare quello sperimentale nella lotta spaziale alle radiazioni cosmiche, per preparare al meglio le prime missioni umane sul pianeta rosso.

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica