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Orbit Orbit, un viaggio nell’universo creativo di Caparezza

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Quanto lontano devi andare per avvicinarti a chi sei davvero?                     
La risposta, per Caparezza, è Orbit Orbit. Il suo nuovo album discografico, pubblicato lo scorso 31 ottobre, è un vero e proprio Big Bang creativo.

È un’opera in cui lo spazio non fa solo da sfondo, ma è il vocabolario stesso del racconto. Un racconto popolato da pianeti, stelle, asteroidi e astronavi che, incrociando la traiettoria dell’artista, lo accompagnano nella sua esplorazione del cosmo.

Dai fumetti ai manga, dal cinema alla sperimentazione musicale, la storia viene prima narrata in una graphic novel e poi diventa la colonna sonora del viaggio: quello identitario, quello mentale, quello che ti mette in orbita attorno a ciò che sei. Dove il docking è tanto spaziale quanto emotivo. Dove si è liberi solo se si immagina. Dove si cerca la profondità e per questo – come un razzo – si va verso l’alto, fino ad atterrare su mondi che più che da visitare sono poi luoghi da cui fuggire.

L’autore non fa un viaggio: è lui il viaggio, una ripartenza che esprime la voglia di tornare a fare qualcosa, una spinta a guardare avanti perché i ritorni possono essere deludenti, ma è anche il recupero di quel propellente che non ti spara via lontano ma ti rimette in rotazione. Orbit Orbit è un inno alla libertà e alla conoscenza, a guardare oltre il bagliore perché la curiosità è un carico, sì, ma culturale oltre che utile. Non a caso Curiosity è il titolo di una traccia del disco, lo stesso nome del rover della Nasa che dal 2012 cammina su Marte.

È una lode ai cosmologi perché sono loro a studiare le vere super star. È il momento in cui a rivestire la terra – o meglio sé stessi – si aggiunge una sfera più intima: quella del pathos, dell’empatia che ti rigenera una volta assorbite le cose negative per accogliere quelle positive. Ed è anche il momento di fare i conti con l’età per salutare senza affanni il ragazzino di un tempo, nato il nove ottobre e figlio dell’autunno. E per apprezzare, infine, l’umanità: quella capace di ombre, ma anche di meraviglie come quelle, ricorda Caparezza, immortalate dal telescopio James Webb. La stessa umanità che, vista da lassù – spiega l’astronauta Maurizio Cheli in un brano dell’album – si presenta così:

“Con lo shuttle o con la stazione spaziale si va alle stesse quote, praticamente, tra i 380 e i 400 chilometri di quota e quello che colpisce è che si vedono le città e come cambia la morfologia del terreno a causa dell’uomo, ma non si vede l’uomo”.

Gloria Nobile: Penna per scrivere, voce per raccontare. Sono una comunicatrice scientifica, da sempre appassionata di astronomia e documentari. Dopo la Laurea magistrale in Giornalismo, ho conseguito il Master in Comunicazione della scienza alla Sissa di Trieste. Oggi scrivo per l’Agenzia spaziale italiana e mi occupo della comunicazione della candidatura italiana per il progetto Einstein Telescope.