Nel dicembre 1972, durante l’ultima missione con equipaggio sulla Luna, gli astronauti dell’Apollo 17 raccolsero un piccolo frammento di roccia, catalogato con un numero apparentemente anonimo: campione 76535. Oggi, a oltre cinquant’anni di distanza, quella pietra potrebbe riscrivere la cronologia degli impatti che hanno modellato la Luna e, indirettamente, anche quella della Terra primordiale.
Il campione, grande solo pochi centimetri, si è formato a quasi 50 chilometri di profondità nella crosta lunare. Da un viaggio così violento verso la superficie, ci si aspetterebbe di trovare ‘cicatrici’ evidenti dello shock subìto. La roccia invece, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non ne contiene nessuna. Per anni l’ipotesi dominante era che la pietra fosse stata spinta in superficie dal colossale impatto che creò il bacino Polo Sud–Aitken, il più grande cratere della Luna. Ma c’era un problema: trasportare quel frammento dal lato opposto della Luna fino al sito di Apollo 17 avrebbe richiesto un ulteriore impatto, senza però lasciare tracce: una catena di eventi improbabile.
Ora, un recente studio, condotto con simulazioni al computer di grandi impatti lunari, propone una soluzione più semplice: non è stato necessario un cataclisma gigantesco e lontano, come l’impatto che formò il bacino Polo Sud–Aitken, per portare quella roccia in superficie. Sarebbe bastato un evento più ‘locale’: la formazione del bacino Serenitatis, un enorme cratere sul lato a noi visibile della Luna. I risultati della ricerca sono stati pubblicati Geophysical Research Letters.
Durante la fase finale della formazione di un cratere gigante – il cosiddetto collasso – materiale proveniente da decine di chilometri di profondità può essere spinto verso l’alto in modo relativamente delicato, senza venire distrutto. Secondo i modelli, proprio questo processo avrebbe sollevato il campione 76535 fino a renderlo accessibile agli astronauti dell’Apollo 17. Non solo: se questa interpretazione è corretta, l’impatto che creò il bacino Serenitatis risale a circa 4,25 miliardi di anni fa, circa 300 milioni di anni prima di quanto ritenuto finora. Questo significa che il nostro satellite ha iniziato a subire bombardamenti massicci molto prima del previsto.
«Questa roccia può essere piccola, ma custodisce una grande storia sulla prima epoca della Luna. È come una capsula del tempo di 4,25 miliardi di anni fa», spiega Evan Bjonnes, primo autore dello studio.
Anticipare così tanto la formazione di Serenitatis significa anche riconsiderare l’età di altri bacini lunari e, di conseguenza, riscrivere la cronologia degli impatti nel Sistema Solare: poiché la Terra ha perso gran parte delle sue tracce geologiche primordiali a causa della tettonica e dell’erosione, la Luna viene spesso usata come ‘orologio’ per stimare il bombardamento che subirono anche il nostro e gli altri pianeti rocciosi.
«È incredibile che, a più di mezzo secolo di distanza, i campioni Apollo stiano ancora rivelando nuove informazioni», conclude Bjonnes. «Continuano a fornire indizi preziosi sul passato della Luna.»
In apertura: l’astronauta Harrison Schmitt raccoglie campioni lunari durante la missione Apollo 17. Crediti: Nasa.