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Bennu, un archivio storico di 4,5 miliardi di anni

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Gli asteroidi sono dei preziosi custodi della storia del Sistema Solare. Questi piccoli corpi rocciosi sono rimasti quasi intatti per 4,5 miliardi di anni e la loro composizione include materia interstellare che si è formata anche prima della nascita del Sole.
Tra i milioni di asteroidi che vagano nel nostro sistema planetario e che studiamo per scoprire le nostre origini, Bennu occupa un posto speciale. Si tratta di un asteroide carbonaceo appartenente al gruppo degli ‘Apollo’, scoperto nel 1999 e dal diametro di 500 metri circa. È parte di un corpo progenitore più grande, che si è disintegrato a causa di un impatto nella Fascia Principale  per poi riaggregarsi nel tempo.
Bennu è il protagonista di un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Astronomy in cui si tenta di ricostruire le origini della sua composizione. Gli autori principali,  Jessica Barnes dell’Università dell’Arizona e Ann Nguyen del Johnson Space Center della Nasa di Houston, si sono basati sulle analisi dei campioni prelevati dalla sonda Osiris-Rex nel 2020 direttamente sull’asteroide, in quella che è stata la prima missione di raccolta e riporto di campioni (sample return) della storia dell’esplorazione spaziale.

Le ricerche hanno evidenziato che la materia di cui è composto Bennu è variegata e di diversa provenienza ed età. Una specie di ‘capsula del tempo’ cosmica, che include una miscela di polveri e minerali provenienti dal Sistema Solare primitivo, di materia organica che ha origine nello spazio interstellare e persino di elementi nati prima ancora che il nostro Sole si accendesse.
Le analisi mostrano che alcuni dei materiali del corpo progenitore, nonostante le probabilità estremamente ridotte, riuscirono a sfuggire lo stesso ai processi chimici indotti da calore e acqua, sopravvivendo persino all’energica collisione che lo frantumò e portò alla formazione di Bennu.
Gli studi sui meteoriti rinvenuti sulla Terra, sui campioni recuparati su Bennu e sull’asteroide Ryugu (i cui frammenti vennero presi dalla sonda giapponese Hayabusa-2 nel 2018) indicano che questi asteroidi progenitori potrebbero essersi formati tutti nella medesima regione, quando il Sistema Solare era in una fase primordiale.
Tuttavia, alcune differenze riscontrate tra Bennu, Ryugu e le meteoriti potrebbero indicare che quella regione sia mutata nel tempo o che il mescolamento dei materiali non sia stato così efficiente come alcuni scienziati ipotizzavano.

L’asteroide Bennu in un mosaico d’immagini scattate dalla sonda Nasa Osiris-Rex. (Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona)

In un altro studio, pubblicato su Nature Geoscience gli autori, Tom Zega dell’Università dell’Arizona e Tim McCoy dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington spiegano che, sebbene alcuni costituenti originari siano sopravvissuti, la maggior parte dei materiali di Bennu è stata trasformata da reazioni chimiche con l’acqua: «L’asteroide progenitore di Bennu  – afferma Zega – accumulò ghiaccio e polveri. Alla fine quel ghiaccio si sciolse e il liquido risultante reagì con la polvere per formare ciò che vediamo oggi: un campione composto per l’80% da minerali idrati. Riteniamo che il corpo progenitore abbia accumulato una grande quantità di materiale ghiacciato proveniente dalle regioni esterne del Sistema Solare e che sia bastato un modesto apporto di calore per fondere il ghiaccio e innescare le reazioni tra liquidi e solidi».

Le trasformazioni nella composizione di Bennu sono state anche altre, come rivela un terzo studio elaborato da un team di scienziati co-guidato da Lindsay Keller  del Johnson Space Center della Nasa e Michelle Thompson dell’Università Purdue, pubblicato su Nature Geoscience. I ricercatori hanno identificato sulla superficie dei campioni dei microscopici crateri e minuscole tracce di rocce un tempo fuse (Impact Melts), segni evidenti che l’asteroide fu bombardato da micrometeoriti. Questi impatti, insieme agli effetti del vento solare, sono noti come erosione spaziale (space weathering) e si verificano perché Bennu non possiede un’atmosfera protettiva.
Come affermato dalla dottoressa Keller: «L’alterazione superficiale di Bennu avviene molto più rapidamente di quanto comunemente si pensasse e il meccanismo delle fusioni da impatto sembra prevalere, contrariamente alle ipotesi iniziali. L’erosione spaziale è un processo importante che interessa tutti gli asteroidi. Grazie ai campioni riportati a Terra possiamo identificarne i meccanismi di controllo e usare questi dati per interpretare la superficie e l’evoluzione di corpi asteroidali che non abbiamo ancora visitato».

La raccolta di campioni direttamente dal corpo celeste, spiega Jessica Barnes ha permesso di conoscere elementi impossibili da individuare con lo studio dei soli meteoriti caduti sul nostro pianeta, poiché certi tipi di asteroidi si disintegrano nell’atmosfera e non raggiungono mai il suolo.
Il prossimo passo utile per la ricostruzione della storia del Sistema Solare, sarà quello di analizzare i campioni che verranno raccolti sulla Luna dagli astronauti del programma spaziale Artemis.

Foto: Uno dei contenitori in cui sono conservati gli oltre 120 grammi di campioni raccolti sull’asteroide Bennu dalla sonda NASA OsirisRex
Crediti:  NASA/Erika Blumenfeld and Joseph Aebersold

Gianluca Liorni: Ingegnere, astrofilo e divulgatore scientifico. Sono appassionato di Scienze e Tecnologie, che seguo da decenni, con particolare predilezione per l'astrofisica, la cosmologia e l'esplorazione spaziale