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La superficie della luna di Urano ‘Ariel’ sembrerebbe ricoperta da grandi quantità di ghiaccio di anidride carbonica. L’esistenza di questi depositi è un enigma per gli scienziati perché a quelle distanze, Urano è venti volte più lontano dal Sole della Terra, dovrebbe sublimare e disperdersi nello Spazio. Per giustificare la sua presenza sono state formulate varie spiegazioni e meccanismi, l’unico punto su cui tutti concordano è che l’anidride carbonica dispersa dev’essere per forza sostituita da altra, in quantità sufficiente ad alimentare costantemente gli strati congelati sulla superficie della luna.
Ma se così fosse, da dove arriva questa continuo apporto di anidride carbonica?
Alcuni studiosi affermano che la produzione di anidride carbonica scaturisca dall’interazione tra la superficie di Ariel e le particelle cariche della magnetosfera di Urano, mediante un processo chiamato ‘radiolisi‘ nel quale i legami molecolari vengono spezzati dalla radiazione ionizzante. La teoria più interessante però, propone che l’anidride carbonica abbia origine all’interno della luna.
Questa idea è frutto di una recente ricerca scientifica svolta da un gruppo di scienziati, guidati dalla geologa planetaria Chloe Beddingfield. Le conclusioni sono state pubblicate in questi giorni su The planetary Science Journal e, in generale, propongono l’idea che l’anidride carbonica fuoriesca dai numerosi solchi mediani che caratterizzano la sofferta superficie di Ariel.
Questi solchi si comporterebbero in modo simile alle faglie tettoniche terrestri, spaccature della crosta che nei millenni si allargano lentamente, portando in superficie materia proveniente dall’interno del pianeta.
Che gli imponenti solchi di Ariel siano il frutto dell’attività tettonica e vulcanica è un sospetto diffuso da lungo tempo tra gli studiosi, sin da quando vennero rivelati nel 1986 dalla storica sonda Nasa ‘Voyager 2’, prima e unica ad aver avvicinato e fotografato la luna da una distanza di circa 130.000 chilomentri.
Finora, la tesi più accreditata proponeva che la formazione di questi canali fosse una conseguenza del crollo di antichi condotti sotterranei, in cui scorreva la lava. Nelle ultime analisi delle foto però, svolte dalla geologa Beddingfield e il suo team, sono state individuate delle caratteristiche geologiche tipiche dell’azione convettiva interna.
Secondo lo studio, il calore farebbe salire la materia verso superficie, creando una pressione sotto la crosta che finisce per spaccarla. Nel tempo, i due margini della ‘ferita’ si allargano, spostandosi lateralmente per far spazio alla materia in risalita, che fuoriesce.
Ariel in passato deve aver avuto un’attività geologica importante, scaturita delle forze mareali impresse dal vicino gigante gassoso e dalla risonanza con le altre lune del sistema. Queste forze hanno plasmato i ghiacci interni, dando vita a fasi in cui erano più caldi, anche fino al punto di liquefare, o più freddi. La risonanza, in particolare, potrebbe aver contribuito a mantenere l’esistenza di un sospetto oceano sotterraneo che esisterebbe ancora oggi sia su Ariel che sulla vicina compagna, la luna Miranda.
L’esistenza di una relazione tra i lunghi solchi che sfregiano Ariel e l’ipotetico oceano subsuperficiale non convincono il team della Beddingfield, che afferma: «Le dimensioni e la profondità del possibile oceano di Ariel possono solo essere stimate, potrebbe essere isolato e non interagire con l’allargamento dei solchi superficiali»
Secondo la studiosa, sappiamo ancora troppo poco per fare affermazioni certe. Malgrado ci siano nuove ipotesi, la scienza ufficiale non sa ancora spiegare con certezza il perché della presenza di anidride carbonica congelata su Ariel. Le foto riprese dalla Voyager 2 non sono sufficienti per costuire una mappa della distribuzione dei ghiacci, gli scienziati impegnati a studiare questa luna sono unanimi nell’affermare che bisogna di tornare là , magari con un orbiter, per saperne di più. Questo consentirebbe un’analisi dettagliata, più approfondita grazie a continui passaggi sopra la stessa porzione di superficie.
Se si trovassero concentrazioni di anidride carbonica ai bordi dei solchi mediani, ad esempio, la teoria della geologa Beddinfield avrebbe più elementi a suo sostegno.
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Immagine: una delle foto di Ariel scattata dalla sonda Voyager 2 una volta raggiunto il massimo avvicinamento, 24 gennaio 1986. Sono visibili numerose ‘cicatrici’, solchi e spaccature che caratterizzano l’estetica di questa luna
Crediti: Nasa