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Incidente Soyuz, ecco cosa sappiamo e cosa potrebbe succedere

Alexey Ovchinin e Nick Hague rientrano a Baikonour

Nel giro di pochi mesi, la Stazione spaziale internazionale potrebbe restare disabitata per la prima volta da quasi vent’anni. Questa la maggiore preoccupazione diffusa nelle ultime 24 ore tra le agenzie spaziali, una volta appurato che i due astronauti coinvolti ieri mattina nell’incidente della Soyuz sono rimasti illesi e stanno bene. Ma che cosa abbiamo capito fino adesso del guasto alla navicella, e quali sono i futuri scenari possibili?

Il russo Alexey Ovchinin, veterano dello spazio, e l’americano Nick Hague, alla sua prima missione, sono partiti ieri alle 10:40 italiane dal cosmodromo di Baikonur per raggiungere i membri dell’Expedition 57 sulla Iss. Ma pochi minuti dopo il liftoff è stato rilevato un problema a uno dei propulsori della Soyuz Ms-10, e si sono immediatamente attivate le procedure per l’atterraggio di emergenza. Si

tratta di una delle più sofisticate garanzie di sicurezza del veicolo russo: la Soyuz è infatti progettata in modo da poter abortire una missione in qualunque istante del volo grazie al rapidissimo distacco della capsula che trasporta l’equipaggio, posizionata sulla punta del razzo. Esattamente quanto successo ieri: dopo pochi minuti di ascesa qualcosa è andato storto nella fase di separazione dei quattro motori del vettore – quelli normalmente necessari per vincere la forza di gravità e spingere così la navicella verso l’orbita terrestre, per poi sganciarsi e consentirle di proseguire il viaggio verso la Iss. Ieri invece, quando la Soyuz si trovava a circa 50 chilometri di altezza, uno dei propulsori non ha funzionato come previsto, e di conseguenza il razzo non aveva più la spinta sufficiente per continuare verso l’orbita.

Il rientro di emergenza della Soyuz Ms-10 (NASA/Bill Ingalls)

È qui che sono entrati in gioco i sistemi di sicurezza della Soyuz, che hanno avviato la procedura per il distacco immediato della capsula con a bordo gli astronauti e il rientro di emergenza. Chi seguiva il volo in diretta sui canali di Nasa e Roscosmos ha potuto vedere distintamente la turbolenza nell’abitacolo della Soyuz, poco prima che il collegamento venisse interrotto. Sono seguiti momenti di tensione, perché per rientrare in atmosfera la navicella ha dovuto percorrere una traiettoria di discesa molto più ripida di quella solitamente utilizzata per il cosiddetto ‘atterraggio morbido’ – che comunque già sottopone gli astronauti a un impatto al suolo non da poco. In questo caso Hague e Ovchinin hanno subito un’accelerazione di 6,7 G, ovvero quasi sette volte la forza di gravità terrestre. Fortunatamente questa forte pressione non ha provocato danni, e intorno alle 11:20 i due astronauti sono atterrati sani e salvi a una ventina di chilometri dalla città di Zhezkazgan, in Kazakistan, dove sono stati raggiunti dalle squadre di soccorso. Qualche ora dopo hanno trovato le loro famiglie ad attenderli a Baikonur, da dove erano partiti; entrambi, ha fatto sapere la Nasa dopo i primi accertamenti medici, “sono in buone condizioni”.

L’agenzia spaziale russa Roscosmos ha immediatamente avviato un’indagine per capire che cosa abbia esattamente provocato il guasto a uno dei propulsori. L’agenzia stampa Interfax ha riportato che una prima ipotesi riguarda un malfunzionamento durante la fase di separazione: una valvola di uno dei booster laterali del primo stadio non si sarebbe aperta, e il guasto avrebbe colpito a catena anche il booster centrale del razzo. A quel punto il secondo stadio avrebbe perso il suo orientamento, causando lo spegnimento di emergenza dei motori. Questa ipotesi non è stata però ancora confermata dalle fonti ufficiali, e servirà tempo per comprendere nel dettaglio la dinamica dell’incidente – indagine che al momento è considerata una priorità assoluta per Roscosmos e Nasa. “Ci aspettiamo di sapere dai colleghi russi più dettagli sull’accaduto nel giro di pochi giorni” ha detto infatti Reid Wiseman, responsabile del volo umano per la Nasa.

E intanto l’agenzia spaziale statunitense sta già lavorando a un piano di emergenza per far fronte ai probabili ritardi sulle future missioni. Anche accertando in tempi brevi la causa del danno, potrebbero comunque essere necessari mesi prima che sia possibile far volare nuovamente gli astronauti con le Soyuz – al momento unico taxi disponibile da e per l’orbita bassa. Ecco dunque che lo scenario della Iss momentaneamente disabitata appare realistico; un’ipotesi però che gli Stati Uniti vorrebbero cercare in tutti i modi di evitare. A tal proposito, si sta valutando la possibilità di allungare la missione dell’equipaggio dell’Expedition 57 che attualmente si trova sulla stazione: Alexander Gerst dell’Esa, al comando della Iss, Serena Auñón-Chancellore della Nasa e Sergey Prokopyev di Roscosmos. Ma anche questa potrebbe essere una soluzione solo parziale: le Soyuz sono in grado di ‘resistere’ in orbita per un massimo di 200 giorni, il che significa che la navicella attualmente attraccata alla Iss – e che dovrà riportare a casa i membri dell’Expedition 57 – potrà restare nello spazio al massimo fino alla fine di dicembre 2018. Tra l’altro il veicolo in questione è la Soyuz MS-09, che a fine agosto aveva causato un piccolo allarme a causa della presenza di un buco di due millimetri nel suo compartimento orbitale. Il foro è stato subito tappato dagli astronauti a bordo e non ha causato ulteriori problemi, ma anche in questo caso Roscosmos ha aperto un’indagine per accertare le cause del danno, che sembrerebbe legato a un errore umano. I prossimi mesi saranno dunque cruciali per il futuro accesso allo spazio, e servirà un grosso sforzo internazionale per garantire la continua presenza di astronauti sulla casa spaziale.

 

 

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica