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Le zone umide guidano le emissioni di metano in atmosfera

Un team di scienziati dell’Università di Leeds ha utilizzato i dati del satellite Sentinel-5P, prima missione del programma Copernicus dell’Unione europea dedicata al monitoraggio della atmosfera terrestre, per rilevare i recenti aumenti dei livelli di metano, il secondo gas serra più importante.
Nonostante il rallentamento economico causato dalla pandemia e le restrizioni a livello globale, la sua concentrazione è, infatti, aumentata in atmosfera anche negli ultimi anni. Partendo da questo scenario, la ricerca è stata finalizzata all’identificazione delle località in cui si sono verificati forti picchi di emissioni del gas climalterante.
I risultati sono stati presentati al Living Planet Symposium dell’Esa tenutosi a Bonn a fine maggio scorso.

Il metano presente in atmosfera proviene per il 40% da fonti naturali e per il 60% da attività umane quali l’agricoltura, lo sfruttamento dei combustibili fossili e le discariche.
Questo gas climalterante ha un’impronta importante in termini di riscaldamento globale, nonostante la sua vita sia particolarmente breve in atmosfera: circa 9 anni. Questa combinazione rende la riduzione delle emissioni di metano di natura antropica una chiave potenziale per la mitigazione del cambiamento climatico, al netto dei livelli di altri gas serra.

Il primo importante riscontro ottenuto dal recente lavoro è che le osservazioni satellitari di Sentinel-5P hanno mostrato lo stesso aumento di metano rilevato dalle misurazioni di superficie. Il team ha quindi sfruttato la capacità di mappatura globale del satellite del programma Copernicus per identificare le regioni con i più forti aumenti di emissione di metano nel corso del 2020.
Queste regioni sono risultate il Sud Sudan e l’Uganda in Africa centrale, oltre alle regioni settentrionali ad alta latitudine, tra cui Canada e Russia.

Le concentrazioni medie mensili di metano sul Sud Sudan da gennaio 2018 a gennaio 2021. Le linee tratteggiate rappresentano i periodi in cui sono disponibili meno dati del satellite Sentinel-5P. Crediti: Emily Dowd – University of Leeds/ESA

Il caso del Sud Sudan è sicuramente particolare: da solo nel 2019 ha collezionato, infatti, un quantitativo pari a oltre un quarto della crescita delle emissioni globali. Il motivo principale è il ruolo delle sue zone umide, una delle maggiori fonti di emissioni di metano.

L’estremo aumento delle precipitazioni nel Sud Sudan e in Uganda, registrato anche nel 2020, ha portato a un alto tasso di rilascio delle dighe dal Lago Vittoria e il conseguente aumento del flusso d’acqua nel Nilo Bianco, fiume che alimenta le zone umide dei due stati africani.

Confrontando quindi i dati satellitari di Sentinel-5P con un modello che simula il metano nella nostra atmosfera, chiamato Tomcat, la ricerca ha individuato una forte discrepanza nel ciclo stagionale. Un riscontro che conferma che le zone umide potrebbero essere un fattore dominante nel guidare le grandi concentrazioni di metano sul Sud Sudan durante il 2020.

«Le osservazioni di Copernicus Sentinel-5P hanno dimostrato che le zone umide globali continuano a contribuire in modo significativo al bilancio del metano nell’atmosfera – afferma Emily Dowd dell’Università di Leeds – è importante svolgere ulteriori lavori per comprendere appieno come risponderanno ai cambiamenti del nostro clima».

Immagine in evidenza: mappa globale che mostra l’aumento annuale delle emissioni di metano rispetto all’aumento annuale medio globale, dati dal satellite Copernicus Sentinel-5P. Crediti: Copernicus Sentinel data (2020)

Giuseppe Nucera: Comunicatore scientifico e Multimedia producer. Laureato in Sociologia, ho conseguito il Master in Comunicazione della Scienza e dell'Innovazione Sostenibile dell'Università Milano-Bicocca. Dal 2012 collaboro con diverse agenzie editoriali e pubbliche per comunicare online ricerche e progetti scientifici.