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Astronauti, problemi muscolari: una questione di contatto

Il contatto fisico potrebbe aiutare a prevenire e ridurre i problemi muscolari degli astronauti. È quanto emerge da un nuovo studio guidato dall’Università di Tohoku in Giappone e pubblicato su iScience, secondo cui il contatto dato da massaggi mirati potrebbe essere determinante nel fermare il declino neuromuscolare in microgravità.

Il contesto in cui si inserisce lo studio è quello, ormai noto, della salute degli astronauti. Tema che diventa sempre più rilevante in vista del ritorno dell’essere umano sulla Luna e dello sbarco del primo equipaggio su Marte. Le forze biochimiche che agiscono nello spazio sono infatti molto differenti da quelle che operano sul nostro pianeta, il che può causare importanti modifiche nel sistema neuromuscolare degli esseri umani.  Per testare questi rischi al momento il laboratorio migliore è la Stazione spaziale internazionale, che nel corso degli anni ha ospitato moltissimi studi per valutare l’effetto della microgravità sulla salute degli astronauti. Uno dei più recenti, a guida italiana e pubblicato su NPJ Microgravity, ha esplorato l’addestramento cognitivo e motorio a zero G grazie a una serie di esperimenti sulla Iss.

Ma anche i laboratori terrestri possono dare indizi preziosi su come valutare (ed eventualmente ridurre) gli effetti della prolungata esposizione alle radiazioni spaziali. È il caso del nuovo studio a guida giapponese, che ha utilizzato i vermi nematodi per analizzare il declino neuromuscolare a zero G.

«Il progressivo declino neuromuscolare in microgravità è una delle principali preoccupazioni per la salute degli esseri umani che trascorrono del tempo nello spazio –  spiega Atsushi Higashitani, biologo molecolare dell’Università di Tohoku. – Il nostro team internazionale ha studiato i meccanismi alla base di questi cambiamenti».

I ricercatori si sono concentrati su Caenorhabditis elegans, un verme nematode che mostra effetti molecolari e fisiologici simili a quelli degli esseri umani durante il volo spaziale, comprese le prestazioni muscolari alterate e la riduzione della lunghezza del corpo. Il team ha testato vermi cresciuti in condizioni di microgravità simulata in laboratorio, misurando due molecole: la dopamina, un messaggero chimico del sistema nervoso noto per essere coinvolto nel movimento e nel rilevamento del contatto fisico, e COMT-4, un enzima responsabile della rottura della dopamina.

I risultati mostrano livelli ridotti di entrambe le molecole nei vermi in microgravità. Ma, ancor più importante, gli scienziati hanno scoperto che questi effetti diventano completamente reversibili stimolando il contatto fisico. Condizione che, nel caso dei vermi nematodi a zero G, è stata ottenuta mettendoli a contatto con microsfere di plastica.

Da qui, le conclusioni del team di ricerca: il contatto fisico dato da massaggi mirati, ad esempio a mani e piedi, potrebbe aiutare gli astronauti a prevenire gli effetti della microgravità sul sistema nervoso e muscolare.

«Abbiamo scoperto un legame tra contatto fisico, dopamina e regolazione muscolare che controlla la salute neuromuscolare in microgravità – conferma Higashitani. – Introdurre il contatto fisico ristabilisce questo percorso e aiuta a ripristinare la funzione muscolare».

Immagine in apertura: Nasa Johnson

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica