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Ibernazione: così l’Esa immagina il viaggio per Marte

Animazione sospesa. O, come siamo più abituati a sentirne parlare, ibernazione. Ovvero, il rallentamento delle normali funzioni vitali dell’individuo – senza causarne la morte – indotto mediante mezzi esterni.

E’ certamente uno dei tòpos nella fantascienza spaziale e non, un artificio narrativo che ha permesso di avventurarci in viaggi spazio-temporali altrimenti impossibili come in Interstellar, l’audace pellicola di Christopher Nolan, o di salvare in extremis la specie umana dall’estinzione, come nella recente produzione Netflix Don’t look up.

Fantascienza dunque. Ma non per molto, forse. Anche perché, a ben vedere, l’animazione sospesa è una tecnica di sopravvivenza ben sperimentata in natura. Basti pensare ai rettili, ma anche animali a sangue caldo ne fanno uso, come gli scoiattoli, o gli orsi, per avvicinarci di più all’uomo.

Secondo uno studio condotto dall’Agenzia spaziale europea, l’ibernazione umana potrebbe diventare una tecnica rivoluzionaria per i viaggi nello spazio. A partire dalle missioni per Marte. Indurre una sorta di letargo negli astronauti avrebbe non pochi vantaggi: consentirebbe di risparmiare sui costi delle missioni, di ridurre di un terzo le dimensioni dei veicoli spaziali e allo stesso tempo di mantenere in salute l’equipaggio.

Un viaggio di andata e ritorno verso il Pianeta rosso, ad esempio, include una fornitura di acqua e cibo per circa due anni.  «Stiamo parlando di 30 kg per astronauta al giorno, e prima di questo aspetto, dobbiamo considerare le radiazioni e le implicazioni psicologiche e fisiologiche», spiega Jennifer Ngo-Anh, coordinatrice ricerca e carico utile dello Human and Robotic Exploration dell’Esa e uno gli autori dell’articolo.

Il letargo indotto permetterebbe di diminuire il tasso metabolico di un equipaggio in rotta verso Marte fino al 25% rispetto al normale. Ciò consentirebbe di minimizzare la quantità di rifornimenti e le dimensioni dell’habitat, rendendo più fattibile l’esplorazione di lunga durata.

«Dove c’è vita, c’è stress», ricorda Jennifer. «L’animazione sospesa ridurrebbe al minimo la noia, la solitudine e i livelli di aggressività legati alla reclusione in un’astronave», aggiunge.

In ambito medico l’idea di indurre nell’essere umano uno stato di ibernazione ha iniziato a circolare negli anni ’80 e oggi i medici utilizzano l’ipotermia terapeutica per ridurre il metabolismo durante interventi chirurgici lunghi e complessi. Ma siamo ancora lontani dallo stato di quiescenza vera e propria.

Gli orsi sembrano essere il miglior modello da studiare per raggiungere l’obiettivo dell’ibernazione umana nello spazio. Sono animali che hanno una massa corporea simile a quella dell’uomo e riducono la loro temperatura corporea solo di pochi gradi, un limite considerato sicuro per l’uomo. Come gli orsi, gli astronauti dovrebbero acquisire grasso corporeo in più prima di addormentarsi.

Durante il letargo, gli orsi bruni si ritirano nelle loro tane e sperimentano sei mesi di digiuno e immobilizzazione. Un modello che non sembra applicabile all’uomo, che se costretto a letto riscontra già dopo poche settimane, una grave perdita di massa nei muscoli e nelle ossa, oltre a un maggiore rischio di insufficienza cardiaca.

Ma perché agli orsi non accade? «La ricerca mostra che gli orsi escono dalla tana in modo sano in primavera con solo una perdita marginale di massa muscolare. Ci vogliono solo circa 20 giorni affinché il loro fisico torni alla normalità. Questo ci insegna che l’ibernazione previene l’atrofia di muscoli e ossa e protegge dai danni ai tessuti», spiega Alexander Choukér, professore di medicina presso l’Università Ludwig Maximilians di Monaco, in Germania.

La ricerca mostra inoltre che livelli più bassi di testosterone sembrano favorire il lungo letargo nei mammiferi. «Il diverso equilibrio ormonale nelle femmine e nei maschi e il ruolo degli estrogeni nella regolazione del metabolismo suggeriscono che le donne potrebbero essere le candidate migliori», aggiunge Alexander.

Ed ecco come, a valle dello studio, gli scienziati dell’Esa hanno immaginato come potrebbe essere una missione verso Marte con equipaggio in animazione sospesa. Il processo di ibernazione dovrebbe avvenire all’interno di una sorta di morbide cabine, attraverso la somministrazione di un farmaco. L’ambiente dovrebbe avere luci soffuse, una temperatura inferiore ai 10 °C e un’umidità elevata.

All’interno di questi gusci, gli astronauti si muoverebbero molto poco, ma non sarebbero trattenuti e indosserebbero indumenti che evitino il surriscaldamento. I sensori misurerebbero postura, temperatura e frequenza cardiaca.

Inoltre, ogni capsula dovrebbe essere rivestita da una camera ad acqua che faccia da scudo contro le radiazioni. «L’ibernazione può effettivamente proteggere dagli effetti dannosi delle radiazioni durante i viaggi nello spazio profondo. Lontano dal campo magnetico terrestre, i danni causati dalle particelle ad alta energia possono causare morte cellulare, malattie da radiazioni o cancro», afferma Alexander.

Con l’equipaggio a riposo per lunghi periodi, un ruolo fondamentale dovrà essere svolto dall’intelligenza artificiale che entrerà in gioco durante le anomalie e le emergenze.

«Oltre a monitorare il consumo di energia e le operazioni autonome, i computer a bordo manterranno prestazioni ottimali del veicolo spaziale fino a quando l’equipaggio non sarà svegliato», spiega Alexander.

L’ibernazione umana è ritenuta una delle tecnologie chiave abilitanti per lo spazio. Sebbene teoricamente possibile, oltre che estremamente vantaggiosa sotto molti punti di vista- non ultimo quello economico -, sono molti ancora gli aspetti da esplorare prima che diventi parte integrante dei programmi di addestramento degli astronauti.

Gli studi in corso, dell’Esa e anche della Nasa, dimostrano però che per la scienza non si tratta più di una frontiera proibita. Per cui nulla ci vieta di pensare che quanto visto in decine di film diventi, in un futuro non troppo remoto, la nuova normalità dei viaggi nello spazio.

 

 

 

Manuela Proietti: Giornalista, photo- e videographer. Dal 2009 coordina i progetti editoriali dell'Agenzia spaziale italiana. Ha lavorato per l'Agenzia Dire e scritto per La Stampa