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IceCube: la particella ad alta energia conferma la teoria di Glashow

È l’antineutrino più energetico di sempre. È precipitato sulla Terra nella calotta ghiacciata del Polo Sud a una velocità prossima a quella della luce, trasportando 6,3 PeV di energia. Per capire l’energia di questa particella, basti pensare che è quasi 1.000 volte più energetica di quello che sarebbe in grado di produrre il Large Hadron Collider del CERN di Ginevra.

L’interazione, avvenuta nel 2016, è stata catturata dall’enorme telescopio nel ghiacciaio antartico: l’IceCube Neutrino Observatory. Il telescopio ha così osservato, per la prima volta, un fenomeno noto come risonanza di Glashow, ‘predetto’ nel 1960 dal fisico premio Nobel Sheldon Glashow.

Sheldon Glashow, quando era ancora un ricercatore post-dottorato, presso quello che è oggi l’Istituto Niels Bohr di Copenaghen, scrisse un articolo in cui sosteneva che un antineutrino – il gemello di antimateria di un neutrino -, attraverso un processo noto come risonanza, avrebbe potuto interagire con un elettrone producendo il bosone W. Ma ad una sola condizione: l’antineutrino avrebbe dovuto avere un’energia di 6,3 PeV – energia che non potrebbe essere generata da nessun acceleratore di particelle di fabbricazione umana.

Nelle aree più remote del cosmo, però, l’enorme energia sprigionata dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie può generare particelle con energie mai osservate sulla Terra. Un tale fenomeno è stato probabilmente responsabile dell’antineutrino da 6,3 PeV che ha raggiunto IceCube nel 2016.

«Questo risultato dimostra la fattibilità dell’astronomia dei neutrini – e la capacità di IceCube di farlo – che giocherà un ruolo importante nella futura fisica delle astroparticelle multimessengero», afferma Christian Haack, tra gli autori dello studio. «Le misurazioni precedenti non sono state sensibili alla differenza tra neutrini e antineutrini, quindi questo risultato è la prima misurazione diretta di un componente antineutrino del flusso dei neutrini astrofisici».

Glashow, ora professore emerito di fisica alla Boston University, fa eco alla necessità di ulteriori rilevazioni degli eventi di risonanza che porta il suo nome. «Per essere assolutamente sicuri, dovremmo vedere un altro evento simile con la stessa energia di quello che è stato visto. Finora ce n’è uno, e un giorno ce ne saranno di più»

Lo studio è stato pubblicato su Nature.

Ilaria Marciano: Giornalista | Digital Addicted since 1990