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L’uomo sulla Luna… per restarci

Fino a qualche anno orsono, esattamente nella prima decade del terzo millennio, il tema principale era se l’esplorazione spaziale umana dovesse puntare sulla Luna o su Marte. I due corpi celesti erano in qualche misura contrapposti come scelta, si trattava di scelte strategiche divergenti. A parlare per primo di ritorno sulla Luna fu George Bush Junior nel 2004 con l’idea di tornare ai sistemi di lancio delle missioni Apollo. Ma i tempi non erano maturi e la visione “solo USA” mal si conciliava con la necessità di internazionalizzazione che è propria delle attività spaziali. Negli anni a seguire il dibattito su intenso, soprattutto dal punto di vista scientifico.

La svolta di Obama

L’arrivo di Obama alla Casa Bianca ha modificato radicalmente la questione. Marte si allontanava a favore degli asteroidi e la Luna tornava in campo, ma non per una base sulla, piuttosto intorno. Una scelta legata al cambio di passo che il governo Usa fece nell’ambito dei lanciatori. Mandato in pensione lo shuttle, la Nasa affidò ai privati il servizio di navetta spaziale per la Stazione Spaziale Internazionale, affidando ai colleghi russi con la Soyuz il viaggio dei propri astronauti. Una scelta importante che ha dato vita ad una serie di cambiamenti che hanno stravolto, positivamente, il settore creando una nuova economia mentre il governo e la Nasa si occupavano di realizzare un nuovo sistema di lancio, SLS Orion, per portare l’uomo nello spazio profondo.

Ma ancora l’obiettivo non era chiaro. L’Europa con l’ESA (anche senza la convinzione di tutti i paesi membri) puntava sulla Luna con il progetto Moon Village, un ‘progetto spaziale globale’ volto alla costruzione di una base permanente sulla Luna a fini scientifici, commerciali, turistici e per l’estrazione mineraria. Collaborazione è la parola chiave, non solo tra Agenzia spaziali, dentro ci vede anche i privati. Perché la Luna può essere un affare per tutti e perché l’Europa, da sola, non può farcela. Il momento storico però non sembra essere tra i più favorevoli: Obama, cancellati i piani di Bush per il ritorno umano sulla Luna, punta verso gli asteroidi e Marte, vedendo nell’orbita del nostro satellite solo un punto di passaggio verso destinazioni più lontane.

Sul momento, il sogno di una base lunare sembra dunque restare un auspicio tutto europeo, un’affascinante suggestione futuribile più che un obiettivo del prossimo futuro.

 

L’arrivo di Trump

 

Una prima svolta sembrò esserci durante lo Iac di Adelaide. In quell’occasione il Direttore Generale dell’Agenzia Spaziale Russa (Roscomos), Igor Komarov llustrò un piano che prevedeva inizialmente la realizzazione di basi cislunari a partire dal 2030 per poi costruire una base lunare, al polo sud, a partire dal 2040. In questa avventura, davanti all’allora Amministratore della Nasa Robert Lightfoot, auspicarono una convergenza con gli Stati Uniti, almeno fino alla fase cislunare, per poi prendere strade diverse. Russi sulla Luna, americani su Marte. Nel 2040 infatti le strade si sarebbero divise. Ma bastarono pochi mesi e soprattutto le parole del neo presidente USA, Donald Trump, perché le scelte venissero radicalmente cambiate. Gli Usa sarebbero tornati sulla Luna, per restarci e già a partire dal 2024. «Riporteremo gli astronauti americani sulla Luna, non solo per lasciare impronte e bandiere, ma per costruire le fondamenta di ciò di cui abbiamo bisogno per mandare gli americani su Marte e oltre», queste le parole del vice di Trump, Mike Pence, all’indomani dello Iac 2017.

I russi uscirono di scena come singoli protagonisti e gli Europei dell’ESA, che già collaboravano al sistema di lancio SLS Orion portavano nel nuovo progetto, il Lunar Gateway, ma soprattutto il progetto Artemide, gli studi fatti per il Moon Village.

Gli Stati Uniti si assicurarono la stessa partnership esistente per la Stazione Spaziale Internazionale, Russia, Europa, Canada e Giappone, oltre a siglare accordi accordi bilaterali, tra i primi con l’Italia e la sua dote di esperienza nel realizzare moduli pressurizzati per la ISS (il 40% del suo volume è realizzato in Italia). La decisione di Trump, con l’arrivo del nuovo amministratore della Nasa Jim Bridenstein, impegnò l’agenzia spaziale americana a ricalibrare il progetto esclusivamente orbitale, la realizzazione del Lunar Outpost Gateway-Platform – una sorta di stazione spazio-porto cislunare – con una timeline piuttosto compressa e considerare il ritorno dell’uomo, anzi di una donna, la prima della storia, sul nostro satellite come progetto parallelo e non più conseguente, reso più complesso dalla data del 2024, contro quella del 2028 richiesta dalla NASA.

Il ruolo dei privati

L’ingresso dei privati ha dato sicuramente una forte spinta al comparto spaziale e una dinamicità che non si vedeva dai tempi della prima corsa alla Luna (Elon Musk ha promesso di portare i primi turisti in vacanza attorno al nostro satellite nel 2023). Sarà il contesto favorevole (tutto il mondo spaziale sembra finalmente convergere sull’obiettivo Luna, senza contare l’influenza persuasiva di aver celebrato i 50 anni dall’allunaggio dell’Apollo 11). Sta di fatto che dopo un lungo periodo di incertezza, scandito da programmi annunciati, avviati e poi cancellati, espressione delle diverse politiche spaziali abbracciate dai presidenti che si sono succeduti (c’era Bush che vedeva l’uomo sulla Luna mentre Obama lo immaginava a caccia di asteroidi e poi su Marte), oggi gli Stati Uniti sembrano avere chiari gli obiettivi futuri dell’esplorazione umana: realizzare (presto) una stazione spaziale in orbita cislunare, il Lunar orbital platform Gateway (in gergo Lop-G), e da lì, usare dei lander come ascensori per fare giù e su dall’avamposto alla Luna. Con un obiettivo finale: testare una complessa architettura spaziale e replicarla su Marte.

La svolta è stata proclamata allo Iac 2018 di Buenos Aires, con il discorso di Jim Bridestine: «This time when we go to the moon, we are gonna stay». Questa volta sulla Luna gli States ci vogliono restare.

I vertici dell’agenzia americana la definiscono una nuova corsa alla Luna, della quale non intendono però (né potrebbero anche volendolo) essere gli unici attori come nella prima versione. Non sarà una «gara tra nazioni», per dirla con le parole del numero uno della Nasa, ma un progetto di cooperazione tra player pubblici e privati con guida a stelle e strisce. Canada, Europa, Giappone e Russia – i partner della Nasa nel programma Stazione spaziale internazionale antesignano del Lop-G – che hanno ufficializzato la collaborazione al Gateway, rilasciando contestualmente il primo concept grafico del progetto lunare in versione internazionale.

L’opinione di Roberto Vittori, pilota ed astronauta

La Luna dista solamente 380.000 km ed è la prossima meta dell’esplorazione umana. Il nostro satellite naturale rappresenta infatti la prima vera opportunità di insediamento stabile dell’uomo al di fuori dell’atmosfera terrestre.

La Stazione spaziale internazionale ha avuto l’importantissimo compito di consolidare la nostra capacità di operare, anche per periodi relativamente lunghi, in condizioni di micro-gravità e al di fuori dell’atmosfera. Tuttavia, per realizzare un avamposto spaziale completamente indipendente è necessario lasciare l’orbita bassa e spostarsi sulla superficie di altro corpo celeste. L’opportunità a noi più prossima è quindi la Luna e il primo, fondamentale, passo da fare è consolidare le operazioni verso il nostro satellite e ritorno.

Le missioni esplorative degli anni ‘60 sono state delle prove generali, dimostrazioni di capacità tecnologica, oltre che operativa, ma rimangono solo una breve introduzione alla vera sfida epocale, mai prima tentata: quella di assicurare lunghe permanenze su un corpo celeste differente dal nostro, costruendo insediamenti che possano, un giorno, sostenersi in totale autonomia.

C’è infatti una differenza fondamentale tra dimostrare di saper andare e tornare in sicurezza e abitare permanentemente un pianeta diverso dalla Terra.

Creare nuclei abitativi in grado di auto-sostenersi e al di fuori della nostra atmosfera è il vero obiettivo ad oggi ancora mai tentato ed implica la capacità di reinventare il processo manifatturiero su un altro corpo celeste che includa l’estrazione di materie prime e la successiva lavorazione in situ. Oltre a ciò, va aggiunto che l’ormai confermata presenza di acqua rende estremamente realistica l’ipotesi di nuclei di insediamenti umani. La ricerca scientifica sarebbe certamente uno degli obiettivi principali ma lo sforzo sarebbe in primis volto allo sviluppo di capacità tecnologica. In una prospettiva di lungo periodo, una volta sviluppato il sistema di trasporto in grado di assicurare i collegamenti “Terra-Luna”,  la Luna potrebbe anche diventare una sorta di gigantesca zona industriale, un luogo su cui decentralizzare le attività produttive altamente inquinanti, abbassando l’impatto negativo che esse hanno attualmente sull’ecosistema terrestre.

Inoltre, avendo una forza di gravita ridotta e non presentando un’atmosfera consistente, la Luna è destinata a diventare il nostro spazio-porto per eccellenza. Il lancio di una missione dal nostro satellite necessiterebbe di uno sforzo energetico decisamente ridotto rispetto a quanto occorre ora dalla Terra. Una base lunare potrebbe dunque, un giorno, assicurare spedizioni umane e robotiche verso i confini del sistema solare ed oltre.

Il programma Artemis

Artemis è il programma di esplorazione lunare con equipaggio della NASA, che mira a far atterrare due astronauti vicino al polo sud della luna nel 2024 e stabilire una presenza umana sostenibile sopra e intorno al nostro satellite entro il 2028. Il progetto è parte integrante di un altro passo da gigante: portare gli astronauti su Marte, che la NASA intende fare negli anni ’30.

L’agenzia statunitense ha annunciato la possibilità di rivedere alcune tappe del programma Artemis, che punta a inviare un equipaggio sulla Luna e mettere in orbita il Lunar Gateway entro il 2024. Due traguardi che secondo le nuove disposizioni della Nasa saranno raggiunti separatamente. La missione Artemis 3 non utilizzerà infatti il Gateway, come si era invece ipotizzato in precedenza, e potrebbe sfruttare per l’allunaggio un’orbita diversa da quella che avrà l’avamposto lunare.

Ma se il balzo per gli obiettivi di Artemis avverrà in due tempi, il Lunar Gateway vedrà invece accorpata in un’unica operazione due tappe che nei piani iniziali dovevano essere distinte. È la seconda grande novità della conquista lunare 2.0: la Nasa sta infatti valutando di lanciare insieme i primi due elementi del Lunar Gateway, il modulo abitativo HALO e il modulo di alimentazione e propulsione PPE. Inizialmente l’agenzia voleva inviare i due moduli nello spazio separatamente e integrati in orbita.

Nel frattempo Nasa ed Esa hanno deciso quale sarà l’orbita del Lunar Gateway. L’avamposto lunare seguirà un percorso altamente eccentrico, percorrendo un’orbita quasi rettilinea che lo porterà da un punto minimo di 3000 chilometri di vicinanza al nostro satellite a una distanza massima di 70.000 chilometri dalla sua superficie. Secondo i tecnici, quest’orbita è ideale per pianificare missioni a lungo termine e per limitare al massimo il numero di eclissi alle quali l’avamposto sarebbe sottoposto.

Parallelamente, in vista dello sbarco umano previsto nel 2024, si stanno studiando soluzioni per il mantenimento delle strutture che saranno costruite sulla superficie lunare. A questo proposito, Esa e Azimut Space, stanno collaborando per verificare se è possibile realizzare mattoncini di regolite, in grado di immagazzinare calore da usare quando le infrastrutture saranno avvolte dalla gelida notte lunare, che può durare fino a 16 giorni.

I mattoncini realizzati con la regolite lunare permetterebbero infatti di catturare e conservare l’energia solare durante il giorno, proprio come fanno sulla terra i pannelli solari e di mantenere la base e le infrastrutture al caldo quando fa buio. Ma non è tutto. L’uso di materiali locali, rappresenterebbe un’alternativa di sviluppo altamente sostenibile, dato che la regolite potrebbe essere utilizzata in futuro anche per la costruzione di utensili e strumenti per gli habitat umani.

L’Italia sulla Luna

L’accordo firmato dal Presidente dell’ASI, Giorgio Saccoccia e l’Amministratore della NASA, James Bridenstine, ha posto le basi per una cooperazione bilaterale di lunga durata nel programma di esplorazione lunare Artemis tra Italia e Stati Uniti. Vediamo l’industria italiana in quali parti del programma è già impegnata.

Mentre la Nasa pensa allo sviluppo di Sls, l’Esa sta lavorando alle fasi di costruzione dello European service module (Esm) il modulo di servizio che fornirà il supporto vitale e la propulsione a Orion. Questo fondamentale elemento della capsula vanta un importante contributo italiano: l’unità Structural test article (Sta) che riproduce la struttura di volo di Esm è realizzato negli stabilimenti di Torino di Thales Alenia Space Italia (joint venture Thales – Leonardo) per conto dell’agenzia spaziale europea. Esm è stato sviluppato a partire dalla navetta cargo Atv dell’Esa che ha fatto la spola tra la Terra e alla Iss portando rifornimenti ed esperimenti dal 2008 al 2015. Il modulo è al momento in fase di costruzione a Brema e volerà a bordo della Exploration Mission-1 per testare tutti i sistemi. Nella stessa facility, si sta procedendo allo sviluppo del secondo esemplare di ESM che andrà in orbita con la Exploration Mission-2, la prima ad avere un equipaggio a bordo.

Lo European System Providing Refuelling, Infrastructure and Telecommunications (ESPRIT) contribuirà all’immagazzinamento di xenon e idrazina, oltre a costituire un punto di attracco per eventuali carichi. Sarà progettato in parallelo da Airbus e Thales Alenia Space.

Utilization Module, di produzione statunitense, fornirà spazio aggiuntivo e costituirà l’iniziale modulo abitativo, portando a 55 m³ di spazio abitabile. Sarà basato su un veicolo spaziale Cygnus, con le aggiunte di radiatori, antenne, batterie e punti di aggancio, fornendo supporto per l’equipaggio per almeno un mese. La costruzione del modulo è stata affidata alla Northrop Grumman, la quale, per la produzione dei Cygnus, collabora con Thales Alenia Space, operante nelle sezioni pressurizzate.

International Habitation Module (I-HAB) fa parte del modulo abitativo durante le missioni con equipaggio e costituisce un punto di attracco per altri moduli. Presenta una forma cilindrica con l’aggiunta di quattro portelli, due in asse e due radiali, e per l’assenza di rifiuti spaziali in area cis-lunare sono sufficienti delle pareti meno spesse. All’interno ci saranno spazi notte, di cucina e di esercizio fisico. Sarà progettato in parallelo da Airbus e Thales Alenia Space.

Gli stabilimenti italiani di Thales Alenia Space sono anche impegnati nello sviluppo della parte abitabile del proprio Human Landing System (HLS), scelta dalla compagnia statunitense Dynetics che ha vinto il contratto preliminare nell’ambito del programma Artemis della NASA.

Se il progetto HLS del consorzio internazionale capeggiato da Dynetics verrà scelto, Thales Alenia Space (TAS) avrà l’incarico di realizzare tutta la parte pressurizzata del nuovo modulo lunare, inclusa la struttura primaria, i portelli di accesso di uscita per le attività extraveicolari, i finestrini e la copertura termica e di protezione contro gli urti di micrometeoriti.

Francesco Rea: Giornalista professionista dal 1994 ha lavorato per diverse testate nazionali, stampa, radio e video, oltre che per alcune istituzioni politiche. Laureato in lettere, indirizzo storia contemporanea, da oltre venti anni lavora alla comunicazione di istituti scientifici, legati allo spazio e all'astrofisica spaziale. La matematica resta comunque un elemento oscuro e la foto è di dieci anni e 15 chili addietro