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L’esplorazione di Marte in pillole

L’occhio di Schiaparelli

È il 1877 quando l’astronomo e senatore del Regno Giovanni Schiaparelli inizia una campagna di osservazioni di Marte che lo porta, nell’arco di un decennio, a realizzare una serie di mappe assai accurate della sua superficie. In esse, egli distingue delle aree omogenee contraddistinte da una differente colorazione, che chiama “mari” e “terre”, ma soprattutto un complesso reticolato di striature che connettono i “mari” attraversando le “terre”: qualcosa che Schiaparelli prova a definire, senza troppo pensarci su, “canali”. Nella trasposizione in lingua inglese, “canali” viene tradotto sbrigativamente “canals” (canali artificiali) e non con il termine più appropriato, “channels”. Ma sono le osservazioni effettuate dall’astronomo statunitense Percival Lowell a confermare la scoperta di Schiaparelli. Lowell, ricco uomo d’affari con il pallino dell’astronomia, nell’osservatorio privato che si è fatto costruire a Flagstaff in Arizona, da tempo cerca prove dell’esistenza di vita extraterrestre. È dunque la persona che maggiormente propende ad appoggiare l’ipotesi che i “canals” siano la chiara testimonianza di una civiltà aliena: quella dei Marziani. I canali artificiali, azzarda Lowell, servono probabilmente a trasportare in alcune stagioni l’acqua dalle zone polari, ricche di ghiacci e neve, a quelle inaridite poste all’equatore, determinando la crescita di una ricca vegetazione lungo il tracciato dei canali stessi.

I canali visti da vicino

In breve tempo, parlare dei Marziani diventa una moda. Herbert G. Wells, nel suo romanzo La guerra dei mondi (1897), racconta uno sconvolgente attacco del Pianeta Rosso alla Terra. Curiosamente, nel 1904, un’enorme stratificazione nuvolosa a forma di lettera “w” appare nell’emisfero Nord di Marte e viene interpretata come un possibile messaggio minaccioso: “w” come l’iniziale di guerra in inglese (“war”). Oggi sappiamo che si trattava semplicemente di un fenomeno meteorologico. È un altro italiano, Vincenzo Cerulli, abile astronomo autodidatta, a infliggere un colpo mortale alla credibilità dei “canals” osservati (e teorizzati) da Schiaparelli e Lowell. Cerulli si rende conto che i presunti canali sembrano tali solo guardandoli da grande distanza: si tratta, infatti, di un insieme di punti separati messi assieme dalla vista e che danno quell’impressione quando Marte è più vicino alla Terra, e quindi meglio osservabile. Se nella comunità scientifica l’esistenza dei Marziani viene ormai considerata dai più un mero capitolo della fantascienza, i mass media continuano periodicamente a rilanciare un’ipotesi tanto suggestiva.

Lo spettrometro e il radar

I rapporti fra l’Italia e Marte non sono, però, limitati ai canali di Schiaparelli. Grazie alla sua eccellenza scientifica e all’avanzato sviluppo tecnologico e industriale, il nostro Paese può vantare “un pezzo di Italia” praticamente in ogni sonda o satellite, europeo o statunitense, destinato all’esplorazione del sistema solare. È il caso di Mars Express, la missione europea lanciata nel 2003 con a bordo due importanti strumenti: lo spettrometro di Fourier Pfs per lo studio dell’atmosfera e il radar subsuperficiale Marsis, gioielli tecnologici “made in Italy” che hanno contribuito a dar prova della presenza di acqua ghiacciata nel corpo del Pianeta Rosso in corrispondenza del Polo Sud. Parla italiano anche l’erede di Marsis Sharad, il radar a penetrazione del sottosuolo che fa parte dell’equipaggiamento di Mro, la missione NASA incaricata dello studio di Marte a partire dalla mappatura globale che ha individuato rivoli d’acqua salata in superficie.

Una battuta di arresto

Tredici anni dopo il lancio di Mars Express, l’Europa è tornata sul Pianeta Rosso con ExoMars parte uno, ambiziosa missione esplorativa che ha lo scopo di studiare le eventuali tracce di vita passata e presente su Marte, la caratterizzazione geochimica e geofisica dell’ambiente, l’identificazione dei possibili rischi per le future incursioni umane. L’Esa ha assegnato all’industria italiana, e in particolare a Thales Alenia Space Italia (Thales 67%, Leonardo 33%), la leadership principale di entrambe le missioni, oltre alla responsabilità complessiva di sistema di tutti gli elementi. La prima missione nel 2016 era costituita da Trace Gas Orbiter (TGO) e dal lander Schiaparelli. Il TGO, a guida francese, doveva effettuare lo studio sia dei gas presenti nell’atmosfera marziana sia di eventuali processi biologici o geologici in atto, mentre il lander Schiaparelli, a leadership italiana, conteneva la stazione meteo Dreams e altri strumenti per l’analisi dell’atmosfera marziana. Purtroppo, un problema tecnico ha impedito al lander della missione di raggiungere l’obiettivo e svolgere pienamente il proprio lavoro. Il Trace Gas Orbiter è dotato di strumenti concepiti e realizzati in Italia come il microriflettore laser INRRI e una suite di sensori metereologici italiani di nome DREAMS e AMELIA per l’analisi dei dati raccolti. Dalla superficie Schiaparelli dialogherà con la sonda TGO, in orbita per studiare l’atmosfera aliena insieme a CaSSIS, la camera realizzata con contributo italiano.

L’obiettivo del Rover 

Nel 2018, un trapano carotatore di tecnologia nostrana vola su Marte a bordo di un rover: l’ipertecnologica trivella è incaricata di forare il suolo fino a due metri di profondità e di estrarre campioni, mentre lo spettrometro ma_miss ne analizza i dati per svelare i segreti marziani celati nel profondo. La seconda missione – inizialmente prevista per il 2018 e ora pianificata per il 2022 – prevede l’ammartaggio di un rover europeo e una piattaforma di superficie stazionaria russa. Il rover, a leadership Regno Unito, combina sia la capacità di movimento sia quella di trapanare il suolo fino a una profondità di due metri. L’obiettivo del rover, di produzione italiana, è la ricerca di segni di vita passata o presente grazie all’analisi dei campioni di sottosuolo raccolti. Il modulo stazionario russo trasporta il modulo di discesa su Marte, a guida tedesca; la piattaforma di superficie russa, rilasciato il rover, indagherà l’ambiente circostante. In ogni caso, bisogna dirlo: è un intero Paese che va su Marte, non solo gli scienziati che lo hanno studiato e continueranno a studiarlo grazie a questa missione, non solo gli ingegneri che hanno trovato le soluzioni tecnologiche e innovative per renderla possibile, e non solo tutti i lavoratori delle agenzie spaziali e delle industrie che, in modo diretto o indiretto, hanno dato il loro contributo. È un intero Paese, perché l’innovazione è il futuro del Paese stesso. Ma l’Italia dello spazio, oltre che su Marte, è anche sulla Terra, a controllare e guidare la missione. Il centro di controllo europeo della missione è a Torino, presso la Altec, società partecipata da Asi (l’Agenzia Spaziale Italiana) e Thales Alenia Space.

Un rinvio inevitabile

L’inevitabile necessità di effettuare ulteriori test di controllo da parte dei team russi ed europei ha portato l’Agenzia spaziale europea e quella russa alla decisione di rimandare il lancio della missione ExoMars. La prossima opportunità di decollo sarà possibile solamente fra 750 giorni, nel settembre 2022, quando i due pianeti saranno di nuovo vicini. In un comunicato ufficiale, si afferma che “la decisione nasce dalla necessità di poter garantire una più alta probabilità di successo nelle operazioni atte a raggiungere e studiare la difficile superficie marziana. Per questo motivo, è stato deciso di dare più tempo per le attività di completamento e controllo delle parti principali che compongono la missione (il modulo di discesa ed il rover)”. Concretamente, c’è la volontà di ottenere un successo nell’ammartaggio del rover Rosalind Franklin, oggetto primario della missione ExoMars, il cui trapano è italiano per concezione e realizzazione. D’altronde, finora, soltanto gli Stati Uniti sono riusciti nell’impresa di poggiare sul suolo marziano un lander o un rover funzionanti e pienamente operativi. L’Europa ha fallito due volte, nel 2003 con il lander Beagle 2 e nel 2016 con il lander Schiaparelli.


Aspettando Rosalind Franklin

A complicare ulteriormente la situazione ha contribuito l’attuale contesto sanitario europeo che non ha permesso di effettuare alcuni test finali a causa del rientro obbligato in patria degli esperti russi e delle difficili condizioni di lavoro dell’industria europea. La scelta di Esa e Roscosmos ha trovato concordi tutti i partner istituzionali e industriali, ed è stata sicuramente difficile, anche perché è arrivata dopo un primo rinvio, dal 2018 al 2020. La missione ExoMars, promossa dall’Italia a metà degli anni 2000, è stata concepita in due fasi: la prima nel 2016 con il lander Schiaparelli e l’orbiter Tgo (pienamente operativo), la seconda nel 2018 con il rover. Dovremo dunque attendere il settembre del 2022 per vederla in viaggio, ma soprattutto la primavera del 2023 per seguire la fase di ammartaggio, tifando per Rosalind Franklin.

Lo chiamammo “Perseverance”!

A partire dagli anni Settanta del Ventesimo secolo, dozzine di sonde sono state inviate verso il Pianeta Rosso, anche se non tutte con esiti positivi; diversa questione per gli orbiter, ormai numerosi, che orbitano intorno al Pianeta Rosso per carpire più informazioni possibile. Raggiungere Marte non comporta in sé grandi dispendi di energia (pressappoco gli stessi che servono per raggiungere la Luna), ma la scarsa atmosfera e la forza di gravità ridotta a un terzo di quella terrestre rendono l’operazione di ammartaggio molto delicata e senza la chance di una seconda possibilità.  All’esplorazione marziana darà un nuovo contributo l’invio da parte dell’agenzia spaziale americana di un nuovo rover: dopo Sojourner, Opportuny, Spirit e Curiosity, sarà la volta di Perseverance. Il nome è stato scelto dal vincitore di un concorso scolastico indetto appositamente dalla NASA, a cui hanno partecipato ventottomila studenti delle scuole secondarie di ogni Stato americano. Per la cronaca, il “papà” di Perseverance è il dodicenne Alexander Mather di Lake Braddovk (Virginia).  La sonda ha iniziato il suo viaggio verso Marte il 30 luglio 2020 dalla base spaziale di Cape Canaveral grazie ad un lanciatore Atlas 5.


Tianwen -1

Dopo aver raggiunto la parte nascosta della Luna con le missioni Chang’è, anche la Cina esordisce nella corsa verso Marte: la missione HX-1 prevede un orbiter, un lander e un rover. Lanciata a luglio del 2020 la sonda Tianwen-1 si è staccata dalla piattaforma di lancio del centro spaziale di Wenchang nella Cina meridionale a bordo del razzo Lunga Marcia 5. La missione – con 13 strumenti a bordo – giungerà nell’orbita marziana a febbraio 2021 ed è composta da un orbiter che studierà la magnetosfera, la ionosfera e il campo gravitazionale del pianeta, un lander e un rover. Quest’ultimo, dal peso di 240 chili e lungo due metri, è previsto atterrare nella distesa di Utopia Planitia dove andrà alla ricerca di biomolecole e tracce di forme di vita passate o presenti.

Tianwen -1 è in realtà la seconda missione cinese ideata per Marte. La prima – Yinghuo- 1 – del 2011 è stata inviata insieme alla sonda russa Phobos – Grunt, missione fallita per la mancata immissione nella corretta orbita terrestre e poi rientrata con uno splashdown nel Pacifico l’anno successivo. Inoltre, la missione HX-1 fa parte di un piano più grande che prevede, fra l’altro, una missione nel 2030 per riportare sulla Terra campioni di roccia, come il progetto Mars Sample Return messo in atto dagli americani e dagli europei.

 

Francesco Rea: Giornalista professionista dal 1994 ha lavorato per diverse testate nazionali, stampa, radio e video, oltre che per alcune istituzioni politiche. Laureato in lettere, indirizzo storia contemporanea, da oltre venti anni lavora alla comunicazione di istituti scientifici, legati allo spazio e all'astrofisica spaziale. La matematica resta comunque un elemento oscuro e la foto è di dieci anni e 15 chili addietro