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I planetesimi svelano le origini di una classe di meteoriti

La maggior parte dei meteoriti rinvenuti sulla Terra sono frammenti di planetesimi, i primi corpi protoplanetari nel Sistema Solare. La teoria più accreditata sulla loro evoluzione afferma che essi si sarebbero o fusi completamente nel corso dei primi stadi della loro esistenza o aggregati tra di loro non sciogliendosi affatto.

In particolare una di queste famiglie di meteoriti ha suscitato l’interesse degli scienziati fin dalla sua scoperta negli anni sessanta. I diversi frammenti di questi oggetti che sono stati trovati in diverse zone del pianeta sembrano essersi staccati dallo stesso corpo primordiale.

Ora uno studio dell’Mit, pubblicato sull’ultimo numero di Science Advances, ha determinato la natura del corpo genitore. Si tratta di un oggetto multistrato con un nucleo metallico liquido abbastanza potente da  generare un campo magnetico che potrebbe essere stato forte come quello terrestre odierno. I risultati dello studio mostrano anche che le tipologie dei primi oggetti del Sistema Solare potrebbero essere  più numerose e complesse di quanto ipotizzato in precedenza.

«Il corpo genitore di questi meteoriti è un esempio di planetesimo che ha strati fusi e non fusi e incoraggia la ricerca di ulteriori prove di strutture planetarie composite – afferma Clara Maurel, autrice principale dello studio – comprendere l’intero spettro delle strutture – da non fuso a completamente fuso –  è la chiave per decifrare il modo in cui i planetesimi si sono formati agli albori del Sistema solare».

Il Sistema Solare  – circa 4,5 miliardi di anni fa- era formato da  un disco di gas e polveri molto caldo. Man mano che il  disco si è raffreddato, frammenti di materia si sono scontrati e fusi per formare corpi progressivamente più grandi, come i planetesimi. La maggior parte dei meteoriti caduti sulla Terra hanno avuto origine da questi planetesimi che possono essere racchiusi in due categorie: fusi e non fusi. Entrambi i tipi di oggetti, secondo gli scienziati si sarebbero formati rapidamente, in meno di qualche milione di anni, all’inizio dell’evoluzione del Sistema Solare.

Gli scienziati ritengono che se un planetesimo si fosse formato nei primi 1,5 milioni di anni di vita  del Sistema Solare,  gli elementi radiogenici di breve durata avrebbero potuto fondere il corpo  stesso a causa del calore rilasciato dal loro decadimento. I planetesimi non fusi invece avrebbero potuto formarsi in seguito, quando avevano quantità inferiori di elementi radiogenici, insufficienti per la fusione.

I ricercatori non hanno a disposizione molti campioni di oggetti composti da elementi sciolti e non fusi ad eccezione di una particolare famiglia di meteoriti ferrosi denominati IIE, composti da una lega di ferro e nichel. Questi meteoriti sono bizzarri e di difficile classificazione – si legge nello studio –  provengono da oggetti primordiali che non si sono mai sciolti del tutto e allo stesso tempo sembrano essere originati da un corpo sostanzialmente fuso. Studi precedenti avevano evidenziato che i meteoriti IIE, sia sciolti che non fusi, potevano avere origine dallo stesso planetesimo primordiale dotato di una crosta solida che celava un mantello liquido, come accade sulla Terra.

l ricercatori hanno dedotto che se il planetesimo avesse avuto un nucleo metallico avrebbe potuto generare un campo magnetico come quello terrestre. Un campo magnetico così antico avrebbe potuto far puntare i minerali presenti nel planetesimo nella sua direzione, proprio come fa l’ago della bussola. Alcuni minerali avrebbero potuto mantenere questo allineamento per miliardi di anni.

Il team dell’Mit è andato alla ricerca di elementi come il ferro e il nichel, noti per le ottime proprietà di registrazione del magnetismo, nei campioni di meteoriti IIE che s sono schiantati sulla Terra. Il team ha analizzato i campioni utilizzando l’Advanced Light Source del Lawrence Berkeley National Laboratory, che produce raggi X che interagiscono con i grani minerali su scala nanometrica, in modo tale da rivelare la direzione magnetica degli stessi.

L’analisi ha dimostrato che gli elettroni all’interno di un certo numero di granuli erano allineati in una direzione simile – la prova che il corpo genitore ha generato un campo magnetico – probabilmente fino a diverse decine di microtesla, più o meno la forza del campo magnetico terrestre. Dopo aver escluso fonti meno plausibili il team ha concluso che il campo magnetico era probabilmente prodotto da un nucleo metallico liquido. Per generare un tale campo si stima che il nucleo debba essere largo almeno alcune decine di chilometri.

I planetesimi complessi con composizione mista (entrambi fusi, sotto forma di nucleo e mantello liquidi e non fusi con una crosta solida) avrebbero probabilmente impiegato diversi milioni di anni per formarsi – un periodo più lungo di quello ipotizzato dai ricercatori  fino a poco tempo fa.

Ma da dove provengono i meteoriti all’interno del corpo genitore? Se il campo magnetico fosse generato dal nucleo di quest’ultimo, ciò significherebbe che i frammenti che alla fine caddero sulla Terra non sarebbero potuti venire dal nucleo stesso poiché un nucleo liquido genera il campo magnetico mentre è ancora caldo e in movimento. Di conseguenza i minerali che hanno registrato l’antico campo magnetico dovevano averlo fatto prima che lo stesso si raffreddasse completamente.

Gli scienziati dell’Mit hanno unito le forze con un team dell’Università di Chicago eseguendo simulazioni ad alta velocità dei vari scenari di formazione per questi meteoriti. Hanno  quindi dimostrato che è possibile che un corpo con un nucleo liquido si scontri con un altro oggetto e che quell’impatto può rimuovere il materiale dal nucleo.  Successivamente quel materiale migrerebbe nelle zone vicino alla superficie, proprio quelle da cui provenivano i meteoriti.

«Mentre il corpo si stava raffreddando i meteoriti situati nelle zone del planetesimo vicino alla superficie hanno impresso il campo magnetico nei loro minerali. Ad un certo punto il campo magnetico è decaduto ma l’impronta è rimasta – continua Maurel – in seguito questo corpo  ha subito molte altre collisioni fino a che non si è trovato nella traiettoria in direzione della Terra ed è giunto fino a noi».

Un planetesimo così complesso rappresenta  un’anomalia  agli albori del Sistema Solare o  si tratta di uno dei  tanti oggetti differenziati? La risposta, si legge nella ricerca, potrebbe trovarsi nella fascia degli asteroidi, una regione popolata da resti primordiali.

«La maggior parte dei corpi nella cintura degli asteroidi  sembra non avere tracce di fusione in superficie – afferma Benjamin Weiss co-autore dello studio –  in futuro saremo in grado di guardare all’interno della struttura degli asteroidi e potremo testare questa ipotesi  e dimostrare  magari che i planetesimi  come quello oggetto dello studio sono in realtà molto comuni nel cosmo».

Fulvia Croci: Giornalista