X
    Categories: cosmo

Giganti rosse maculate

Segni particolari: lentiggini. Tra le stelle, questa caratteristica non è poi così rara. Almeno secondo una ricerca guidata dal Max Planck Institute tedesco, i cui risultati affermano che le macchie stellari sono più comuni di quanto si pensasse.

Il nuovo studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, si concentra in particolare sulle giganti rosse, stelle che si trovano nella fase finale della loro evoluzione e che hanno un’atmosfera di solito molto rarefatta. Gli astronomi credevano che questa famiglia stellare non presentasse quasi mai macchie sulla sua superficie. Il team del Max Planck dimostra invece che circa l’8% delle giganti rosse ha questa caratteristica. Un numero che potrebbe sembrare basso, ma che invece allarga parecchio l’esercito delle stelle maculate. E soprattutto, che cambia radicalmente la nostra conoscenza degli astri alla fine dell’evoluzione stellare.

Ma facciamo un passo indietro. Le macchie stellari sono aree della fotosfera caratterizzate da una temperatura minore rispetto all’ambiente circostante, differenza che genera un forte magnetismo. Gran parte di ciò che sappiamo su queste zone lo dobbiamo alla nostra stella: le macchie solari sono le sorvegliate speciali del nostro sistema planetario, fin dalle prime osservazioni da parte degli astronomi cinesi oltre mille anni fa. Dalla loro presenza o assenza dipende l’alternarsi dei cicli del Sole, e sono le macchie solari a determinare la turbolenza della superficie della nostra stella.

Osservando il Sole, gli scienziati hanno capito la forte attività magnetica legata alle macchie solari. A sua volta, il magnetismo dipende dalla rotazione stellare: soltanto quando gli strati più superficiali di una stella ruotano abbastanza velocemente si osserva l’attività magnetica. Nel caso delle giganti rosse, si pensava che la rotazione fosse molto debole, ma il nuovo studio smentisce anche questa teoria.

Il team di ricerca ha preso in considerazione circa 4.500 giganti rosse osservate dal telescopio spaziale Kepler della Nasa tra il 2009 e il 2013. I dati mostrano un’intermittenza della luminosità tipica delle macchie stellari, unita a una rotazione piuttosto rapida.

«A questo punto, abbiamo provato a risalire al maggior numero di proprietà stellari possibili, per mettere insieme il quadro completo» commenta Patrick Gaulme, leader dello studio. Ad esempio, gli scienziati hanno utilizzato i dati raccolti dall’Apache Point Observatory in New Mexico per calcolare l’evoluzione delle lunghezze d’onda delle giganti rosse nel tempo. Combinando queste e altre informazioni con i dati di Kepler, i ricercatori hanno scoperto che molte giganti rosse macchiate fanno parte di sistemi binari. «In questi sistemi – spiega Gaulme – la velocità di rotazione di entrambe le stelle si sincronizza nel tempo, fino ad arrivare a una rotazione all’unisono». In pratica la gigante rossa guadagna velocità grazie alla stella compagna. E questo permette l’inaspettata osservazione delle macchie solari anche sulla superficie delle giganti rosse.

Rotazione, attività magnetica e macchie stellari sono tutti ingredienti che potrebbero avere un impatto sull’eventuale abitabilità dei pianeti nelle vicinanze. Informazioni preziose in vista delle future missioni che, come Plato dell’Esa, andranno a caccia di mondi simili al nostro.

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica