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Due insolite nane brune

Sono le nane brune più insolite della Via Lattea. Hanno una massa 75 volte quella di Giove e la loro età risale a circa 10 miliardi di anni.

Scovate nei dati raccolti tra il 2009 e il 2011 dal satellite Wise della Nasa, grazie all’aiuto dei cittadini-scienziati nell’ambito del progetto ‘Backyard Worlds: Planet 9’, sono gli oggetti più simili ad un pianeta osservati finora tra le stelle più antiche della nostra galassia.

«Queste due sorprendenti nane brune sono i primi sub-marroni di tipo T estremo e assomigliano ad antichi esopianeti, abbastanza da aiutarci a capire la fisica di questi mondi», afferma Marc Kuchner, il principale investigatore del progetto Backyard Worlds: Planet 9.

Le nane brune, spesso definite stelle mancate, sono troppo piccole per diventare stelle e troppo grandi per essere considerate pianeti a pieno titolo.

Osservando la composizione dei due oggetti, gli scienziati hanno rilevato un dettaglio decisamente curioso: in particolari lunghezze d’onda nella luce infrarossa sembrano appartenente alla classe di nane brune, per altri aspetti, invece, non assomigliano ad altre stelle o pianeti osservati finora.

I due oggetti sono caratterizzati da pochissimo ferro rispetto ad una tipica nana bruna, che, in proporzione, avrebbe al suo interno fino a 30 volte più ferro e altri metalli.
Una delle nane brune osservate sembra avere solo circa il 3% di ferro, come il nostro Sole, una caratteristica che accumuna questi oggetti agli esopianeti più antichi che si pensa abbiano un basso contenuto di questo metallo.

«Una domanda centrale nello studio delle nane brune e degli esopianeti è quanto la formazione del pianeta dipenda dalla presenza di metalli come il ferro e altri elementi formati da più generazioni precedenti di stelle» ha commentato Kuchner. «Il fatto che queste nane brune sembrano essersi formati con livelli di metallo così bassi suggerisce che forse dovremmo cercare più accuratamente antichi esopianeti poveri di metalli o esopianeti che orbitano attorno a stelle antiche».

Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal.

Ilaria Marciano: Giornalista | Digital Addicted since 1990