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Lost in translation nello spazio interstellare

Come si evolverà il linguaggio quando l’umanità sarà diventata una specie multiplanetaria? Uno studio condotto dall’Università del Kansas si è interrogato sull’impatto che i lunghi periodi di isolamento potrebbero avere sull’evoluzione del linguaggio e su quanto la lontananza dalla Terra potrà influire sulla creazione di nuove forme di comunicazione, modellate a seconda dell’ambiente in cui i viaggiatori si troveranno, condizionate dalle esperienze che vivranno e dai problemi che dovranno affrontare. Lo studio ‘Language Development During Interstellar Travel  è stato pubblicato sulla rivista Acta Futura del gruppo Advanced Concepts dell’Esa.

L’evoluzione del linguaggio va di pari passo con quella della specie umana: con l’avanzamento tecnologico e le nuove esperienze cambiano anche le esigenze a livello comunicativo, si creano nuove sfumature lessicali, si sviluppano diverse strutture grammaticali. Ne è un esempio l’uptalk, diffuso in alcune varianti dell’inglese parlato in cui le frasi dichiarative terminando con un’intonazione di tono crescente, possono far sembrare un’affermazione una domanda a chi non conosce questa sfumatura linguistica.

L’uptalk – che ha trovato terreno fertile negli Stati Uniti e in Australia –  ha fatto la sua comparsa circa 40 anni fa diffondendosi prima tra i giovani baby boomers e poi successivamente nella maggior parte della popolazione. In futuro anche gli ipotetici coloni di nuovi mondi potrebbero sentire l’esigenza di arricchire o semplificare il proprio linguaggio proprio perché si trovano a vivere esperienze del tutto diverse dagli abitanti della Terra. Isolamento, estrema lontananza dal pianeta di origine e necessità di adattamento in un ambiente ostile porteranno – si legge nello studio – ad affrontare la sfida delle nuove forme di comunicazione.

«Se viaggi su una nave spaziale da dieci generazioni, emergeranno nuovi concetti, sorgeranno nuovi problemi sociali e le persone creeranno nuovi modi per discuterne – afferma Andrew McKenzie autore principale dello studio – le persone sulla Terra non potranno mai conoscere questo nuovo linguaggio a meno che non ci sia un motivo per impararlo. La connessione con la Terra si riduce nel  corso del tempo. E alla fine, forse, arriveremo al punto in cui non ci sarà alcun contatto reale con il pianeta di origine, tranne che per l’invio di aggiornamenti occasionali».

Questo non vuol dire – si legge nello studio – che le lingue parlate sulla Terra diverranno obsolete perché verranno comunque utilizzate per inviare i messaggi o per leggere i manuali di istruzione a bordo, ma col passare del tempo, gli abitanti della Terra dovranno aggiornare il loro vocabolario per poter comunicare efficacemente con i viaggiatori.

«Sappiamo che prima o poi l’uomo si troverà ad avere a che fare con questo tipo di problemi – conclude Mckenzie – e l’ideale sarebbe fornire all’equipaggio delle nozioni basilari di linguistica che potranno essere ampliate col tempo e in modo autonomo, senza dover fare riferimento alle indicazioni date da terra».

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Fulvia Croci: Giornalista pubblicista, dopo la laurea in Relazioni Internazionali si avvicina al mondo della comunicazione scientifica. Nel corso degli anni ha trattato una vasta gamma di temi legati all'esplorazione spaziale, alla ricerca e alle attività dell’Agenzia Spaziale Italiana.
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