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Nanostrutture per sopravvivere su Marte

Colonizzare Marte è uno dei principali obiettivi dell’esplorazione spaziale del futuro. Ma una volta arrivati sul pianeta rosso, come ci restiamo? Non possiamo certo pensare che i coloni marziani si portino dalla Terra tutto quello che serve per sopravvivere, dal cibo al carburante. Già da tempo si valuta la possibilità di costruire orti marziani per fornire agli astronauti cibo in modo sostenibile.

Un ulteriore aiuto potrebbe ora arrivare dalla chimica. Un team di ricerca guidato dall’Università della California sta mettendo a punto un sistema ibrido in grado di catturare l’energia solare e convertire l’anidride carbonica e l’acqua in molecole organiche. Avendo così a disposizione i “mattoni” principali per costruire prodotti utilissimi per la sopravvivenza, come le medicine. Per far questo, il sistema messo a punto dagli scienziati combina i batteri con i cosiddetti nanofili, anche noti come nanowire. Si tratta di sottilissimi fili di silicio, circa un centesimo della larghezza di un capello umano, utilizzati come componenti elettronici, ma anche come sensori e celle solari. La ricerca su queste nanostrutture si è sviluppata essenzialmente nell’ultimo decennio e le sue applicazioni sono considerate molto promettenti.

«Su Marte, circa il 96% dell’atmosfera è costituita da Co2. Tutto ciò che ci serve – spiega Peidong Yang, leader del progetto – sono questi nanofili di silicio semiconduttore per assorbire l’energia solare e trasmetterla ai batteri, che fanno il resto».

Il funzionamento di questo sistema ibrido è spiegato in un articolo apparso oggi sulla rivista Joule. I batteri utilizzati, nome scientifico Sporomusa ovata, vengono impiantati in quella che i ricercatori definiscono una “foresta di nanofili”. Qui raggiungono un’efficienza record: il 3,6% dell’energia solare in entrata viene convertita e immagazzinata in legami di carbonio, sotto forma di una doppia molecola di carbonio chiamata acetato: essenzialmente, l’aceto alimentare.

Le molecole di acetato possono diventare gli elementi costitutivi di una serie di molecole organiche utili per costruire diversi prodotti, dai combustibili ai farmaci. «Per una missione nello spazio profondo – continua Yang –  ci si preoccupa del peso del carico utile. I sistemi biologici hanno il vantaggio di riprodursi da soli: non c’è bisogno di spedire molto. Ecco perché la nostra versione bioibrida è molto attraente».

L’unico altro requisito, oltre alla luce del Sole, è l’acqua. Un ingrediente che su Marte è relativamente abbondante nelle calotte polari e, come si è recentemente scoperto, anche nel sottosuolo.

Complessivamente, il sistema messo a punto da Yang e colleghi non dista molto dal principio della fotosintesi. E i ricercatori non escludono di poter produrre attraverso i nanofili anche l’ossigeno, in quantità sufficiente da essere utilizzato nelle future colonie marziane. «L’ossigeno è un vantaggio collaterale – conclude Yang – e su Marte potrebbe servire per ricostruire l’atmosfera artificiale dei coloni, imitando l’ambiente terrestre con circa il 21% di ossigeno».

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica