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Rosetta conferma, siamo figli delle stelle

Rappresentazione del rilascio del lander Philae da parte della sonda Rosetta verso la cometa 67P

Un accurato lavoro di revisione e miglioramento della qualità dei dati sulla composizione della superficie del nucleo della cometa 67P Churyumov Gerasimenko raccolti dallo spettrometro italiano VIRTIS, a bordo della missione spaziale europea Rosetta, ha permesso di individuare, per la prima volta su un oggetto celeste di questo tipo, chiare tracce di composti organici alifatici, catene di atomi di carbonio ed idrogeno. La distribuzione e la tipologia dei materiali individuati grazie a VIRTIS rafforza lo scenario che vede le comete e gli asteroidi provenire dai confini estremi del Sistema solare e che possano aver addirittura acquisito il materiale organico che oggi osserviamo direttamente dal mezzo interstellare. Il lavoro, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature Astronomy, è stato guidato da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

I ricercatori hanno revisionato alcuni milioni di spettri raccolti da VIRTIS (Visual, Infra-Red and Thermal Imaging Spectrometer) per ricavare la più accurata “visione” nell’infrarosso dei materiali che sono presenti sulla superficie del nucleo della cometa 67P. Sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF (con PI Fabrizio Capaccioni), lo spettrometro VIRTIS è stato realizzato dalla Leonardo di Campi Bisenzio (Firenze) con il contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).  Il lavoro ha permesso di evidenziare anche le più deboli tracce di composti che finora erano rimaste nell’ombra. «La nostra complessa e accurata analisi restituisce una composizione della cometa simile a quello che si osserva nel mezzo interstellare» commenta Andrea Raponi, dell’INAF di Roma, primo autore dello studio. «Inoltre i risultati rinforzano l’idea che le composizioni di oggetti dinamicamente diversi come comete e asteroidi provenienti dalle regioni più fredde del Sistema solare siano simili».

La revisione dei dati ha così permesso di scoprire in modo inequivocabile la presenza sul nucleo cometario di composti alifatici assimilabili a organici semplici presenti comunemente in bitumi, cere, paraffine e grassi. Si tratta della prima identificazione di questo tipo di composti organici solidi su un nucleo cometario, ed è anche la prima identificazione da remoto, ovvero senza il rischio di alterare il campione durante la sua misura.

Il materiale del nucleo risulta così avere delle caratteristiche simili a quelle del mezzo interstellare diffuso e in alcune meteoriti rinvenute sulla Terra, suggerendo una continuità tra questi due ambienti, e fornendo un ponte di collegamento evolutivo: i composti organici presenti nel mezzo interstellare che sono stati catturati nella nube primordiale da cui si è formato il Sistema solare rimangono intrappolati nelle regioni più fredde e periferiche in piccoli oggetti come asteroidi e comete. Questi corpi celesti sono rimasti inalterati e, impattando sui pianeti, tra cui la Terra, possono aver fornito il materiale organico alla base dei cosiddetti “mattoni della vita”.

«Già sapevamo che la gran parte dei composti organici presenti sulla Terra primordiale provengono dallo spazio» sottolinea Raponi. «Ora, questo studio suggerisce che possiamo spingerci oltre: i composti organici del Sistema solare sono probabilmente – e almeno parzialmente – ereditati direttamente dal mezzo interstellare. Questo affascinante scenario suggerisce quindi che lo stesso materiale organico possa essere disponibile anche per altri sistemi planetari».

«Lo studio appena pubblicato – commenta Eleonora Ammannito ricercatrice delle Scienze Planetarie dell’Agenzia Spaziale Italiana – identifica nelle comete un credibile mezzo di trasporto di materiale organico all’interno del Sistema Solare. Sempre di più, quindi, si evidenzia l’importanza di combinare gli studi sull’origine della vita terrestre con quelli sui corpi minori come comete, asteroidi e meteoriti. Solo un approccio multidisciplinare, infatti, ci permetterà – conclude la Ammannito – di capire le dinamiche che hanno portato allo sviluppo della vita sulla Terra e di focalizzare al meglio gli sforzi per la ricerca di forme di vita extraterrestri».

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