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La barriera invisibile del Sistema Solare

Quando il Sistema Solare si è formato è avvenuta una separazione tra pianeti rocciosi – Mercurio, Venere, Terra e Marte – e pianeti gassosi o ghiacciati – Giove, Saturno Urano e Nettuno.

Se tutti i pianeti, sia interni che esterni, si sono formati dallo stesso disco di polveri e gas, cosa ha portato a questa divisione? E quando è avvenuta?  Un nuovo studio, condotto dai ricercatori delle Università di Tokyo e del Colorado Boulder, sembra suggerire una nuova teoria.

La causa di tale divisione sarebbe da ricercare nella struttura del disco di polveri e gas, che al suo interno avrebbe ospitato un anello di spazio vuoto  chiamato dal team ‘grande divisione’ – che separava il disco interno da quello esterno.

La struttura del disco era posizionata oltre la fascia principale di asteroidi, la regione situata tra le orbite di Marte e di Giove, che idealmente separa le due regioni del Sistema Solare.

La ‘grande divisone’ avrebbe funzionato da separatore, una sorta di barriera invisibile che avrebbe diviso in due la chimica dei corpi del nostro sistema planetario, spostando il materiale da una parte o dall’altra, in base a dove la maggiore gravità lo avrebbe potuto attirare a sé.

Il fenomeno, a detta degli autori, spiegherebbe il perché nel Sistema Solare interno la maggior parte dei pianeti ha una bassa percentuale di molecole organiche e in quello esterno, invece, quasi tutti i corpi sono ricchi di composti a base di carbonio.

Parte della comunità scientifica attribuiva la causa di questa separazione a Giove che, per via della sua massa grande massa, avrebbe potuto impedire al materiale esterno di viaggiare verso l’interno. Secondo gli autori, però, il pianeta non era abbastanza grande per bloccare completamente il flusso dei materiali.

In conclusione, la ricerca evidenzia che la ‘grande divisione’ non sarebbe stata ‘perfetta’: parte di materiale organico sarebbe passato verso l’interno, arrivando sul nostro pianeta e formando le ‘basi’ di ciò che un giorno sarebbe diventata vita. Lo studio è stato pubblicato su Nature Astronomy

Ilaria Marciano: Giornalista | Digital Addicted since 1990