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Terra 2.0, una corsa a ostacoli

Negli ultimi anni la caccia di mondi simili al nostro è stata una storia costellata di prime volte: il primo pianeta potenzialmente abitabile, la prima Terra gemella, il primo esopianeta con tracce d’acqua. Questa settimana il record assoluto è spettato a K2-18b, un pianeta extrasolare distante 110 anni luce da noi descritto lo scorso 11 settembre sulle pagine di Nature Astronomy.

Si è parlato della prima scoperta della presenza di vapore acqueo nell’atmosfera di un mondo distante. In realtà in questo caso il primato non sta tanto nella presenza di acqua, ingrediente già ipotizzato in alcuni degli oltre 4mila esopianeti scoperti fino ad oggi. Ciò che rende K2-18b tanto speciale è la combinazione di due circostanze fortunate: da un lato appunto il vapore acqueo, dall’altro l’appartenenza alla cosiddetta zona abitabile.  Si tratta di una condizione che si applica ai pianeti con un’orbita né troppo vicina né troppo lontana alla propria stella, esattamente com’è accaduto alla Terra. Il che determina una temperatura potenzialmente compatibile con la vita.

Ora, gli astronomi sanno che tra potenziale abitabilità ed effettiva presenza di vita c’è un abisso: e questa è la seconda metà del problema. Nel caso di K2-18b, scoperto grazie ai dati raccolti tra il 2016 e il 2017 dal cacciatore di mondi Hubble, l’abitabilità dovrebbe fare i conti con alcuni elementi meno incoraggianti. Prima di tutto la gravità, che sembrerebbe molto intensa a causa della massa del pianeta, otto volte maggiore del nostro. E poi la probabile presenza di intense radiazioni provenienti dalla stella madre K2-18, una nana rossa piccola e fredda in confronto al Sole, ma estremamente attiva. Ecco quindi che il promettente nuovo mondo scovato da Hubble è ancora lontano dall’essere una Terra 2.0.

E anche ammessa l’abitabilità di questo o di altri esopianeti, resta il problema che i più moderni strumenti di cui disponiamo non ci permettono un’osservazione diretta di mondi così lontani. A tal proposito ultimamente diversi studi hanno perfezionato la mappatura dell’atmosfera terrestre, in modo da avere un parametro sempre più preciso per studiare le atmosfere dei pianeti extrasolari.  È il caso ad esempio di un recente studio canadese, che ha utilizzato i dati del satellite Scisat per costruire uno spettro di transito della Terra che mostra la presenza di molecole chiave per la ricerca di mondi abitabili. In questo modo gli scienziati hanno individuato una sorta di impronta digitale del nostro pianeta, che potrebbe essere utilizzata per identificare altri pianeti in grado di sostenere la vita.

C’è infine un’ultima difficoltà, forse la maggiore, nella difficile corsa a ostacoli della caccia alla Terra 2.0: la distanza.  K2-18b si trova a quasi 110mila miliardi di chilometri da noi, quindi al momento è assolutamente impossibile pensare di arrivarci. E lo stesso possiamo dire dei principali candidati a ospitare la vita. In un’epoca di esplorazione spaziale in cui anche raggiungere il nostro vicino planetario Marte pone non poche sfide, scovare e poi raggiungere l’eventuale eso-Terra resta un sogno tanto affascinante quanto, al momento, irrealizzabile.

Giulia Bonelli: Giornalista scientifica