Trovare tracce di vita nell’universo è il motivo principale che spinge gli astronomi a cercare di individuare esopianeti distanti sempre nuovi. Ad oggi, il metodo più diffuso consiste nell’andare a caccia della cosiddetta ‘firma biologica’ dell’abitabilità interplanetaria: la presenza di ossigeno o metano nell’atmosfera di mondi lontani. Eppure, secondo uno studio appena pubblicato su Nature Scientific Reports, cercare questi preziosi gas su esopianeti ‘terrestri’ richiede moltissimo tempo.

Per questo la nuova ricerca, coordinata dalla Nasa, propone un approccio differente per trovare segni di vita nel cosmo: cercare segnali più grezzi della potenziale abitabilità, più facili da individuare con la tecnologia attualmente disponibile, e rilevabili in meno tempo. “Vogliamo cercare molecole formate dai prerequisiti fondamentali della vita – dice Vladimir Airapetian, ricercatore del Goddard Space Flight Center della Nasa e leader dello studio – e in particolare molecole di azoto, che costituisce il 78% della nostra atmosfera. Si tratta di molecole di base che però hanno un forte potere di emissione nell’infrarosso: questo aumenta le nostre possibilità di rilevarle.”

L’emissione luminosa che interessa a Airapetian e colleghi è resa possibile dall’azione delle stelle nelle vicinanze degli esopianeti osservati, che spesso producono tempeste stellari sprigionando una grande quantità di particelle elettricamente cariche. Quando queste particelle raggiungono l’esopianeta, immettono nella sua atmosfera abbastanza energia da rompere le molecole di azoto in atomi singoli: il che produce una luminosità che può essere catturata più facilmente dagli strumenti oggi a disposizione. Rilevando questi sprazzi di luce nell’universo distante, gli astronomi potrebbero così selezionare le atmosfere planetarie più ricche di elementi chimici potenzialmente collegati alla vita, trovando così con maggior facilità l’ago giusto nel pagliaio degli esopianeti: un mondo, come il nostro, abitabile.