X
    Categories: cosmo

Scovate le stelle più antiche dell’Universo

Una linea temporale dell'universo, aggiornata per mostrare quando sono emerse le prime stelle (180 milioni di anni dopo il Big Bang). Crediti: N.R.Fuller/NSF

Grazie a un’antenna radio e anni di studi è stato possibile raccogliere un segnale proveniente dall’idrogeno primordiale e la sua interazione con le prime stelle del nostro Universo

Per la prima volta gli astronomi sono riusciti a fotografare un universo giovanissimo, di appena 180 milioni di anni di età. Un’epoca fino ad ora oscura ci ha mostrato un segnale proveniente dalle stelle più antiche, e questo segnale è stato captato da un’antenna radio poco più grande di un frigorifero che si trova in Australia. Lo studio, apparso sulla rivista Nature, riporta la rilevazione di un debole segnale dovuto alla presenza di idrogeno gassoso, che si trova in uno stato possibile solo in presenza di stelle. «Trovare questo piccolo segnale ha aperto una nuova finestra sull’Universo primordiale», dice Judd Bowman dell’Università dell’Arizona, primo autore dell’articolo. «I telescopi non possono vedere abbastanza lontano da raccogliere immagini dirette di stelle così antiche, ma siamo riusciti a vedere quando queste stelle si sono accese grazie alle onde radio provenienti dallo spazio».

Molto tempo fa, circa 400.000 anni dopo il Big Bang, l’Universo era composto quasi esclusivamente da idrogeno gassoso. Non c’erano ancora stelle o galassie, quindi il cosmo appariva molto buio. Ci sono voluti circa 50-100 milioni di anni perché la gravità riuscisse ad addensare questo gas e a farlo collassare formando le prime stelle. La nascita e l’evoluzione di queste stelle primordiali, la loro influenza su ciò che le circonda, sono temi che hanno tenuto impegnati gli scienziati per molto tempo. «Ottenere questa misura è stata una grande sfida tecnica», spiega Peter Kurczynskidella National Science Foundation, che ha sostenuto lo studio. «Le fonti di rumore possono essere mille volte più intense del segnale. È come trovarsi nel bel mezzo di un uragano e cercare di sentire il battito d’ali di un colibrì».

Il segnale misurato dagli astronomi è la prima prova concreta che quando l’Universo aveva circa 180 milioni di anni c’erano stelle in grado di influenzare il mezzo intorno a loro. Alcune caratteristiche dell’emissione radio misurata suggeriscono che, all’epoca, l’Universo doveva essere più freddo di quanto precedentemente stimato, con temperature di circa 3°K (ovvero -270°C), circa la metà di quanto atteso. Questo significa che la nostra attuale comprensione delle prime fasi di evoluzione dell’Universo dovrebbe essere rivista, per ricollocare correttamente le tappe alla luce delle evidenze osservative.

Gli scienziati hanno effettuato le loro misure utilizzando una piccola antenna radio chiamata EDGES (Experiment to Detect Global EoR Signature, dove EoR sta per Epoch of Reionization, ovvero epoca della reionizzazione), situata nell’Australia occidentale. L’antenna, delle dimensioni di un elettrodomestico, rileva le onde radio provenienti da tutto il cielo, ed era stata inizialmente sintonizzata su un intervallo di frequenze che va dai 10 ai 200 megahertz. Tuttavia, i ricercatori si sono presto resi conto che a queste frequenza non si riusciva a rivelare granché di segnali. Ipotizzando che il gas primordiale fosse più freddo delle stime teoriche, hanno trovato che l’idrogeno avrebbe dovuto assorbire radiazioni con frequenze tra i 50 e i 100 megahertz. «Non appena abbiamo sintonizzato il nostro sistema in questo intervallo più basso, abbiamo iniziato a vedere segnali che potevano essere significativi», spiega Alan Rogers del MIT, co-autore dell’articolo. Più precisamente, i ricercatori hanno osservato un calo di emissione radio a circa 78 megahertz. Il profilo osservato corrisponde alle previsioni teoriche di ciò che verrebbe prodotto se l’idrogeno stesse interagendo con le prime stelle.

«È improbabile che riusciremo mai a vedere qualcosa di precedente a questo segnale proveniente dalle prime stelle dell’Universo nell’arco della nostra vita», dice Bowman. «Questo progetto dimostra che una tecnica nuova e promettente può funzionare e ha aperto la strada a nuove scoperte astrofisiche».

Elisa Nichelli: